sabato 23 ottobre 2010

RicOrsi Storici - la cosiddetta disfatta dei Bears


Gli Orsi sono definitivamente andati in letargo?
La rivoluzione culturale dell’estetica bear è davvero fallita?
Ha ancora un senso coltivare terminologie e feticci relativi a qualcosa che ha finito, a suo modo, con lo standardizzarsi secondo i più omologati canoni egemonici?

L’implosione della cultura Bear (con particolare riferimento alla sua culla d’elezione, cioè la società statunitense) sta diventando, negli ultimi tempi, un dibattito ricorrente. Un approccio critico al fenomeno degli orsi espresso a livelli differenti, a tratti ossessivo, e nelle sedi più disparate. Tra serie riflessioni sociologiche e superficiali lettere alla posta del cuore, fino al lapidario e qualunquistico rifiuto di ogni definizione. Abbiamo ricevuto con piacere la segnalazione dell’interessante intervista (sul blog noirpink.blogspot.com) a Les Wright, il sociologo americano autore del celebre "The Bear Book - Readings in the History and Evolution of a Gay Male Subculture”, testo fondamentale nel cammino della bear culture. Un po’ meno piacere ci fa dover convenire con Les Wright praticamente su tutta la linea, pensando che per quanto egli si basi sulla realtà americana che ben conosce, l’Europa si è fatta specchio fedele dei meccanismi di oltre oceano, mimandone gli aspetti meno felici.
Bisogna ammetterlo: è un peccato. L’idea portante, anzi, la verità all’origine del concetto di Orso, è il potenziale sovvertimento dell’estetica dei corpi, del desiderio e di tutto ciò che da questo deriva, come rapporti sociali, ruoli nell’immaginario collettivo, ridimensionamento dei canoni di bellezza su cui si basano leggi di mercato... insomma, tutto. Les Wright dice il vero quando afferma che il fattore destabilizzante legato ai Bears è stato presto imbrigliato da una logica borghese che ha prodotto nuovi stereotipi e realtà umane socialmente chiuse. Si può condividere la delusione per lo spreco di una passione che, pur nascendo nell’ambito sottovalutato della sessualità e dell’eros, avrebbe tutti gli attributi per mettere il mondo a testa in giù, ed è stata invece ridotta a un innocuo franchise commerciale. Si può masticare amaro pensando a quanto di politico, di grande e realmente rivoluzionario sarebbe stato (sarebbe) possibile se l’essere umano medio non trovasse più rassicurante lasciarsi assimilare da un sistema che gli offre frequenti feste in discoteca, possibilità di incontri sessuali, divertimento e poco altro.
 
Tutte cose tristemente vere. Ma anche tristemente vecchie. Forse addirittura prevedibili. La storia dell’uomo è piena di meravigliose utopie, grandi e piccole, che sono rimaste tali. Oggi si può sentir parlare anche di fallimento del femminismo e del crollo delle massime ideologie. E’ un ciclo antico quanto il mondo. Un mondo che produce bellezza e grandi intuizioni, ma è sempre pronto a ridurle nei ranghi di potere comodi alla maggioranza e convenienti per chi dispone degli strumenti atti a sfruttarle economicamente. Lo storico calvinista Paul Sabatier usò questa metafora: “Qui il fiume è ancora lo stesso. Ma se questo sa verso quale mare corre, non sa nulla degli affluenti fangosi che turberanno la sua limpidezza.”

In questo contesto potrebbe suonare dissacrante o poco opportuno, ma Sabatier si riferiva a Francesco d’Assisi e a quello che sarebbe stato il destino dell’ordine monastico da lui fondato. Francesco rappresentò una svolta sconcertante per la mistica dei suoi tempi. Gli era bastato riscoprire e mettere in pratica gli originali principi cristiani di povertà, umiltà e carità per gettare in confusione le gerarchie della chiesa cattolica e apparire un disturbo per l’ordine costituito. Tuttavia, l’istituzione religiosa non tardò a fagocitarlo, trasformando il suo rifiuto della ricchezza in uno strumento adeguato a ricondurre sotto il proprio controllo le classi più povere, quelle che già da un po’ si erano allontanate da un clero ingioiellato e odoroso d’incenso.

In altre parole, la storia dell’uomo è densa di buone idee usate male. Tuttavia, è opportuno ricordare, che se alla fine della fiera i risultati sono scarsi, questo non significa che l’ispirazione di partenza non fosse valida, e che magari andrebbe rivalutata alla luce di una maggiore consapevolezza. In principio, per gli Orsi, tutto iniziò così. Qualcuno si accorse che il desiderio, la tenerezza e tutte quelle pulsioni che (per quanto negate) sono motore dell’esistenza umana, sfuggivano in realtà alle tipizzazioni ufficiali, mentre esisteva una vastissima regione emozionale ancora priva di voce. Non parliamo qui dei percorsi sociali documentati da Les Wright, ma dell’esigenza naturale che ha originato un codice linguistico. Codice che ha portato alla formalizzazione della cultura bear, al suo sviluppo e – si direbbe – al suo arenarsi in ulteriori cliché. 


Noi di WOOF! (prima su carta fotocopiata - più o meno com’è accaduto alla rivista americana Bear Magazine - e in seguito come blog) abbiamo contribuito a questa bizzarra evoluzione dalla Sicilia, un po’ distanti dai maggiori centri dove l’ambiente ursino ha trovato maggiore diffusione. Praticamente da subito, ci siamo trovati a fare i conti con resistenze culturali e l’eterna, inutile crociata contro le odiate etichette. Termine spesso usato in modo improprio, giacché “etichetta” è qualcosa da applicare su un prodotto in vendita. “Nome” è invece un segno pratico volto a riconoscere e comprendere un fenomeno della vita. Qualcosa che i semiologi chiamerebbero una “figura del mondo”. Un mondo che ancora oggi trabocca di persone che non sanno che il cielo su di loro è azzurro solo perché non hanno mai pensato di poter alzare lo sguardo. Ed è in questo che consiste l’importanza dei linguaggi, dei patrimoni culturali, delle forme espressive e della comunicazione. A conoscere. A sapere. A vivere.
La rivoluzione degli Orsi, a nostro parere, non è fallita per il semplice fatto che non è mai neppure iniziata. La componente destabilizzante è tuttora un mero potenziale, ed è innegabile che le logiche tiranne della società dei consumi abbiano affossato qualcosa di così interessante sul nascere. Se l’intervista – scientifica e circostanziata – a Les Wright tocca l’argomento in modo puntuale, quel che ci dispiace è notare in altri media l’emergere di un sentimento anti-ursino basato sul niente, se non sulla necessità di sensibilità gay d’altro stampo di riconquistare una ribalta in realtà mai persa. Sentir parlare di “fascismo” a proposito degli Orsi a causa del loro culto dell’aspetto mascolino, o di “negazione del proprio lato femminile” (come se tutti i lati femminili dovessero esprimersi nel medesimo modo) ci irrita e fa ridere nello stesso tempo. Quel che invece ci fa piacere ricordare è quante persone sono uscite dall’isolamento dopo essere entrati in contatto con i codici del mondo bear. Tanti – anche tra noi della fanzine – vivevano inconsapevoli della propria omosessualità proprio perché calati in un quotidiano afasico rispetto al proprio desiderio, quello che spingeva verso uomini dall’aspetto generalmente giudicato non attraente. Pertanto, se il marchio dell’orma su un sito web, un articolo su un blog o una collezione di immagini, può aiutare qualcuno a scoprire che non è né unico né malato solo perché attratto da maturi omoni anziché da sinuose gazzelle, non possiamo negare che tali linguaggi abbiano una funzione sociale di per sé. Certo, i codici sono in continuo cambiamento, si prestano a stravolgimenti ed estremizzazioni. Ma questo fa parte della tragedia umana in ogni campo. I buoni propositi sono affidati agli individui e realizzati o deteriorati a seconda del loro cammino intellettuale. Il pericolo è quello di confondere gli intenti con le cattive applicazioni, finendo praticamente col buttare con l’acqua anche il bambino.

E’ vero. La cultura bear è oggi inquinata da logiche che in origine le erano estranee. Eppure, noi che abbiamo iniziato a vivere in modo più pieno dopo averla scoperta, seguitiamo a sentirci legati a essa, o perlomeno ai suoi elementi essenziali, quelli che Les Wright chiama “definizione fluida”. Tutti noi, nei più disparati ambiti politici, filosofici e ideologici, possiamo a buon diritto sentirci traditi o delusi dalla direzione materiale presa dalla comunità, gruppo, partito, in cui c’eravamo riconosciuti. Ma per fortuna si può ancora scegliere se restare fedeli al sogno (e alla prospettiva della sua migliore realizzazione) piuttosto che alla forma canonizzata di questo.
Vale per tutti, per tutto. E sarà sempre così.



12 commenti:

Beorn ha detto...

Interessante argomento, essere "etichettati" ha un vantaggio perchè ti aiuta a confrontarti con i tuoi simili, ma con o senza etichetta siamo sempre quello che siamo. Ci possiamo chiamare orsi, o pitoni claudicanti o gatti neri assappanati saremmo sempre gli stessi con le stesse caratteristiche. Io ero "orso" prima di scoprire in rete, dieci anni fa, cosa fossero gli orsi, ho solo avuto conferma di essere circondato da tanti fratelli nel mondo che condividono la mia stessa passione.
E per quanto riguarda il discorso che gli orsi sono "fascisti", e negano il loro lato femminile non c'è nulla di più errato. Gli orsi negano l'aspetto femminile distruttivo e non quello generativo. Per chiarirci la polarità femminile ha una manifestazione di tipo di distruttivo che si esprime nella bellezza e nel fascino (lo stesso termine bellezza deriva dal latino bellum che significa guerra ) ed un aspetto di tipo costruttivo o generativo che si esprime nella maternità e nella protezione. Gli orsi sono tutti un po "mammi", hanno sempre lo stimolo a curare, proteggere e far crescere ed è questo l'aspetto femminile che manifestano nell'omosessualità. Un aspetto che non si vede all'esterno, ma solo nel comportamento e nella cura di chi amano.
Entrambi gli aspetti sono importanti, ma ho fatto questa distinzione solo per evidenziare una cosa che spesso fugge sulla femminilità ovvero la parte materna, protettiva e generativa di questo aspetto della polarità.
Scusate per questo mio lungo discorso, e concludo con un bel WOOF!

Les Wright ha detto...

I am very heartened by what I am reading in the Italian press, in discussion is continuing, or resuming. I recently started a discussion group called Bearleft! and I invite like=minded readers to join the discussion there. Alas, the discussion IS in English.
http://groups.yahoo.com/group/bearleft/
HUGS, Les Wright

NoirPink - Modello PANDEMONIUM ha detto...

Interessantissimo post, come anche il commento di Beorn!

Unknown ha detto...

Post interessante che comunque, per l'ampiezza dell'argomento, si condensa in una delle frasi finali: "I buoni propositi sono affidati agli individui e realizzati o deteriorati a seconda del loro cammino intellettuale."
Dal mio punto di vista credo che la rivoluzione degli orsi non è mai partita e non partirà mai: siamo nell'ambito delle peculiarità e delle mille sfaccettature del genere umano; qualsiasi presa di posizione di una delle tante particolarità esistenti sarà solo l'evidenziazione della sua presenza e difficilmente riuscirà a sostenere una rivoluzione (il femminismo potrebbe essere un esempio). Stiamo parlando della capacità di riuscire a sentire come valore la presenza delle sfaccettature (sto cercando di evitare di usare la parola "differenze") e l'innesco di una eventuale rivoluzione può partire solo da esperienze aperte, dal contatto tra le peculiarità, da una assimilazione matura delle qualità (intese come tipologie). Il resto è la solita creazione di un ghetto nel ghetto, in cui il sottogruppo conia i propri codici, i propri linguaggi formali, le proprie riserve, il solito latente odio/disprezzo/senso di superiorità per quel mondo di cui in realtà vorrebbe far parte.
IMHO :)

Perdido ha detto...

Siamo tutti più o meno d'accordo. Il punto nodale, secondo me, è che la bear culture non ha esattamente (e non ha mai avuto) vita a se stante. Ma è comunque da inquadrare nel più generale mondo gay, con le contraddizioni, le sue contaminazioni commerciali, i suoi guizzi politici (quando riesce ad averli). Puntare i riflettori sul solo ambiente bear mi sembra, però, una mossa riduttiva e anche un po' ingiusta. In fondo, il cosiddetto fallimento della cultura bear è avvenuto quando questa è stata assimilata alla gay culture egemonica. Quella che vive di guide Spartacus, saune, feste, crociere gay, raduni eccetera. Insomma, gli Orsi sono arrivati buon ultimi, e in questo quadro generale sono stati assorbiti. Le critiche (complessive) da fare potrebbero essere tante, ma personalmente provo fastidio davanti alla parola "ghetto". Una parola che a volte è usata propriamente, ma troppo spesso alla leggera. Quando il poeta surrealista Leopold Sedar Sengor, presidente del Senegal, elaborò il concetto culturare di "negritude", per restituire identità e dignità al suo popolo oggetto di discriminazione nel mondo, non aveva certo in mente un ghetto di nessun tipo. Ricordiamocelo. Nomi, comprensione e accettazione di sé e solidarietà con i propri simili non saranno mai un ghetto. Ma punto di partenza per il confronto, lo scambio e magari altro. Forse anche un'utopia rivoluzionaria, che, proprio in quanto utopia, conserva il suo valore ideale.

Unknown ha detto...

@Perdido "Le parole sono importanti" diceva Moretti... :)
Scegli il termine che preferisci al posto di ghetto e sarò d'accordo con te, era per estremizzare un concetto che comunque non voleva demonizzare una eventuale presa di coscienza di affinità e di appartenenze ma semmai l'esaltazione di tutti quei comportamenti di una minoranza che per alimentare una trovata visibilità si limita ad un certo "snobismo".
Poi io ho sinceramente qualche dubbio che tutto succeda per un certo mistico automatismo, tipico italiano ("Insomma, gli Orsi sono arrivati buon ultimi, e in questo quadro generale sono stati assorbiti.")...
Ma siamo sicuri che buona parte delle persone poi definite bear, e prima tenute nella periferia del mondo gay mainstream, non vedesse proprio l'ora delle "guide Spartacus, saune, feste, crociere gay, raduni eccetera"?
(@Perdido quanto scritto vuole essere solo uno spunto per la discussione e il confronto)

Perdido ha detto...

Quoto: Ma siamo sicuri che buona parte delle persone poi definite bear, e prima tenute nella periferia del mondo gay mainstream, non vedesse proprio l'ora delle "guide Spartacus, saune, feste, crociere gay, raduni eccetera"?

Ma certo che sì. Il punto è proprio questo. Se è fallita una presunta "rivoluzione" bear, è perché è fallita prima la rivoluzione omosessuale. Se il rovesciamento dei canoni estetici può apparire sovversivo, a suo tempo lo era ancora di più lo sdoganamento dell'omosessualità. Eppure molta della forza politica dell'argomento si è persa per strada, depauperata nella standardizzazione commerciale fatta di saune e gay village. Chiederne conto e ragione al sottoinsieme degli Orsi, a mio parere, è un po' eccessivo. Nel senso di voler ridurre un discorso generale al dettaglio.

Unknown ha detto...

@Perdido Credo che il potenziale poteva essere proprio quel dettaglio che usciva dal generale e creava una "rivoluzione" proprio perchè portava una destabilizzazione nel modo di pensare al mondo omosessuale (chissenefrega se uno è tondo o quadrato! se fosse tutto li... aiuto...). Un gruppo di persone non si identifica fisicamente, e non solo, con il movimento gay mainstream; queste persone hanno un elemento dirompente per il pensare "rasoterra" sull'omosessualità: sono visivamente estremamente maschili; queste persone vivono il loro modo di essere senza fronzoli e diventano un cuneo destabilizzante infilato in quella cultura omofobica che usava un'idea dell'omosessualità sia per difendersi da questa e sia per "usarla". Io vedo questa come utopistica idea di "rivoluzione bear"... Se invece tutto il discorso ruota attorno ai canoni estetici allora è una "rivoluzione" equiparabile all'avvento della minigonna o al dilagare dei tatuaggi :)

Perdido ha detto...

Sì, d'accordo. Ma la cosa che trovo straniante è tutto questo parlare di "rivoluzione" a posteriori. In assenza di reali presupposti programmatici, storici e culturali. Credo che anni fa, all'inizio della diffusione della Bear Culture, si pensasse più a una forma di "liberazione da certi schemi", che non è proprio lo stesso concetto di una rivoluzione culturale. La verità è che trovo il discorso sociologicamente interessante, ma anche un pochino forzato. Inoltre mi fa temere (già lo vedo qua e là) il sorgere di un atteggiamento restauratore di canoni che dovrebbero essere comunque superati. Io non uso la parola "rivoluzione" con molta facilità, ma penso abbia ragione Giambattista Ventrella, fondatore degli Orsi Italiani, che in risposta all'intervista a Les Wright (sullo stesso blog noirpink.blogspot.com), rivendica la presa di coscienza di tanti gay in relazione al desiderio e alla propria fisicità come una conquista sociale da non sottovalutare. Scusami, ma mi sembra che minigonna e tatuaggi c'entrino poco con la serenità e l'accettazione di individui un tempo bollati come brutti e sgradevoli. Tutto il resto è ciarpame. Del resto, quando fu inventato l'aereo, fu una grande conquista, che realizzava il sogno dell'uomo di volare. Che poi, nel corso della storia, qualcuno lo abbia utilizzato anche per sganciare le bombe sulle città... è un'altro paio di maniche.

Unknown ha detto...

ok, d'accordo su tutto, non a caso ho continuato a virgolettare la parola "rivoluzione" e ho aggiunto la classica faccetta in prossimità delle minigonne e dei tatuaggi proprio per mantenerlo sul livello che poteva avere. Peace and love e torno alle mie campagne pubblicitarie con gli omoni :)

Perdido ha detto...

Che, per inciso (le tue campagne pubblicitarie con gli omoni), sono deliziose e uno strumento divulgativo di grande impatto.

prime88 ha detto...

Bellissimo il commento di Beorn...sopratutto la parte in cui dice "Gli orsi sono tutti un po "mammi", hanno sempre lo stimolo a curare, proteggere e far crescere ed è questo l'aspetto femminile che manifestano nell'omosessualità. Un aspetto che non si vede all'esterno, ma solo nel comportamento e nella cura di chi amano."
Io sono un grande ammiratore del genere ursino e mi dispiace vedere sottostimato il Mondo "Bear", anke perchè gli orsi sono scherzosi, casinari(nel senso buono)anke dei dormiglioni in più sanno essere dolci e coccolosi. :D