martedì 3 febbraio 2009

La Sindrome del Grosso Cadavere

Io la chiamo “Sindrome del Grosso Cadavere”. Nome sinistro, vero? Beh, un motivo c’è. Ma niente paura. Non parliamo di una nuova malattia, ma di un fenomeno mediatico ricorrente che in qualche modo riguarda la tipologia umana che preferiamo: gli orsi. Le origini della sindrome possono essere fatte risalire ai medesimi meccanismi che vogliono eroi e protagonisti sempre giovani, belli, magri e in linea di massima anche sbarbati. Parliamo di spettacoli cinematografici e televisivi, ma anche letterari e fumettistici. Fateci caso. Se in un racconto d’azione o di suspence, appare un Orso, beh... c’è una forte probabilità che vedrete morire quel personaggio molto prima del finale. La serie dedicata a Dylan Dog è zeppa di ciccioni passati letteralmente al tritacarne (con l’unica eccezione dell’ispettore Bloch). Ma anche altrove, sul grande come sul piccolo schermo, l’omone, l’uomo goffo e peloso – sembra dire il sottotesto sociologico – non potrà ispirarci che compassione, non identificazione, ed è per tanto sacrificabile. L’orso nei media o è una figura buffa o è votato alla tragedia. In molti casi percorre entrambe le strade. La corpulenza è anche usata come simbolo di corruzione, vizio, malvagità. In poche parole, la fisiognomica, inconsistente disciplina che pretende di ricostruire la personalità di un individuo attraverso l’analisi del suo aspetto fisico, è in qualche modo ancora applicata, in modo becero a molte griglie dello spettacolo. Nella fiction, molto spesso, le tipologie fisiche identificano il ruolo e il destino di un personaggio. Protagonista = piacente, giovane o giovanile. E se pure soccombe, arriva almeno alla fine del racconto. Spalla o comprimario = Tozzo, buffo, se non è uno spaventapasseri è un omone laido o bonario. In ogni caso la sua caratterizzazione oscillerà tra il grottesco e il pietoso. E le sue caratteristiche fisiche lo porteranno quasi sicuramente alla morte. Si è giunti al paradosso di vedere bellissimi attori ursini interpretare una sfilza di morituri senza fine, quasi il loro nome influenzasse il fato dei loro ruoli. Uno di questi è l’attore irlandese Brendan Gleeson, orso rossiccio e pieno di carisma, dalle moltissime morti in celluloide. In “28 Giorni dopo” lo abbiamo visto contrarre l’infezione e morire sanguinando. In “Il sarto di Panama” finiva suicida e in “Troy” si è persino riscritto Omero pur di far morire Menelao (perché era Gleeson a interpretarlo, forse?).
La cinematografia è piena di personaggi sacrificali con le medesime caratteristiche fisiche. In più episodi del “Giustiziere della notte”, e soprattutto nel quinto sequel, ci tocca vedere malcapitati ciccioni subire sevizie e morire disperati prima che Charles Bronson intervenga e faccia fuori tutti. Nei film sulle bestie carnivore, gli orsi hanno una presenza da barzelletta, anzi da tavola apparecchiata. L’immagine del morto vivente ciccione che in “Zombi (Dawn of the Dead) di George Romero vediamo ciondolare seminudo nell’atrio dell’ipermercato per poi cadere, definitivamente morto, a faccia in giù nella fontana, è un’icona perfetta per questo sottotesto dell’immaginario collettivo. La vendetta arriva nel terzo capitolo della saga degli zombi di Romero, dove un affascinante militare orsone è talmente stronzo che non potrà finire che sbranato vivo. Si direbbe che “corpulento” per molti sia associato a tutto ciò che è marcio o in fase di decadimento. Se leggiamo questi segnali come geroglifici moderni, il messaggio che ci giunge è questo. Beh, c’è ancora strada da fare per smaltire tanti cliché e lasciar entrare un po’ di vita vera (e non certo quella artefatta dei reality) nello spettacolo.
Chiudiamo segnalando questo video scovato in rete dedicato a Walter Olkewicz. Attore prevalentemente televisivo che in molti ricorderanno per la sua partecipazione al celebre “Twin Peaks” (dove ovviamente faceva una brutta fine). Le scene di questo video sono tratte dal film tv “Pronto” e credo riassumano tutte le apparizioni di Walter, quasi sempre nudo. Un laido individuo che non nasconde quasi nulla all’occhio dello spettatore (ma si suppone che l’intento fosse quello di disturbare, non di eccitare un pubblico orsofilo), fino a beccarsi una pistolettata mentre se ne sta con le chiappe al vento. Al di là della trama, è una scena esemplare.
Dicevamo? Ah sì, la Sindrome colpisce ancora. Woof!





2 commenti:

marco ha detto...

E' vero, la subcultura imperante al momento vede bella la magrezza. Ma è una subcultura di autodistruzione, come è autodistruttiva la sua conseguenza estrema, l'anoressia... Il povero bistrattato orso-chubby ha in ciò la sua nemesi! Eppoi diciamolo, è tutta invidia. E come vuole il proverbio, "meglio fare invidia che far pena"! Comunque mi pare che Botero si venda più che bene, hehehe... E allora qualcuno che apprezza la ciccia sopravvive (e meno male... così anche il misero sottoscritto qualche disegnino riesce ancora a piazzarlo...)
Un abbraccio dallo
zio Polipo

Perdido ha detto...

Benvenuto, Marco. Anzi, bentornato. E' sempre un piacere. E lo Zio Polipo sa che questo blog è anche casa sua. Woof!