WOOF!: Diario del Capitano, data bestiale 12 Giugno 2008...
Fa sempre piacere quando altri, di propria iniziativa, ti regalano attraverso un blog o un sito web una certa visibilità. A te e agli argomenti che ami trattare. Ho scoperto casualmente questo articolo sulla cultura ursina, firmato da Sexyvia, su www.giovani.it. Un articolo fresco, che descrive in modo garbato le sfaccettature della “Bear Culture”, con riferimento alla filmografia a tema e anche alla bear art (con – GRAZIE! – riferimento al mio primo fumetto bear).
Più come spunto che come critica, cito però una frase nell’ultima parte dell’articolo. Dopo aver descritto l’origine del movimento ursino, le sue chiavi di lettura e i suoi vessilli volti a caratterizzare un tipo di uomo omosessuale lontano dai cliché dominanti, l’autore del pezzo commenta: “Il problema è che questo è sempre il modo in cui nascono stereotipi altri, diversi dai comuni, ma pur sempre stereotipi”.
Vorrei servirmi di questa frase per ribadire un concetto che mi sta molto a cuore.
E’ vero, gli stereotipi esistono. Fanno parte del bagaglio psicologico di tutti, e spesso sarebbero da prendere con le molle se non da bruciare. Ho il massimo rispetto per chi dice di non amare le etichette, che l’importante è essere se stessi. Sono concetti condivisibili, che non saranno sicuramente contestati in questa sede.
Tuttavia, esiste un “Ma”.
Il rifuggire dalle etichette o temere che la caratterizzazione formale di un orientamento umano possa condurre alla nascita di ulteriori stereotipi, è senz’altro legittimo. Ma un uso non critico di questo atteggiamento può portare, in modo altrettanto negativo, a esprimere un concetto soltanto retorico, e di conseguenza fuorviante.
Quel che intendo dire è che l’essere umano è tale in quanto ha sviluppato un linguaggio. Il linguaggio, e l'uso condiviso delle parole, è legato a filo doppio con la maturazione della persona. Per questo l’umanità ha sempre avuto bisogno di dare un nome alle cose per poterle riconoscere, per identificarle, per poterci convivere. I simboli del mondo ursino (ma la stessa cosa potrebbe essere detta per mille altre categorie) sono volti a identificare un particolare modo di percepire il sesso e l’affettività. In un mondo dove l’estetica dominante va in una direzione ben diversa, l’orso, l’uomo omosessuale corpulento, peloso, a volte di mezza età, attratto dai suoi simili, difficilmente comprenderebbe la propria natura e il fatto di non essere un fenomeno isolato (e di conseguenza infelice) senza una mappa, o un fanale che squarci le tenebre dell’ignoranza. Quanti uomini hanno tardato, soffrendo, a comprendere che potevano essere amati nonostante la forma del proprio grosso corpo, anzi grazie a quello, non conoscendo la realtà psicologica degli orsi? Gli orsi, come altri, hanno prodotto un loro linguaggio. Una lingua fatta di segni, parole, immagini, simboli. E i simboli sono importanti. Che li si chiami etichette o stereotipi, senza alcuni di essi saremmo ciechi davanti a certe realtà.
Esiste nondimeno un rigore strisciante che porta a sottovalutare certe espressioni umane. E’ successo anche quando (ormai quasi dieci anni fa) contribuii a fondare la rivista cartacea WOOF! e azzardai a divulgarla all’interno del movimento gay della mia città. Non mancarono personaggi che tentarono di persuadermi a tornare sulla “retta e illuminata via del gay politicizzato”, dicendomi che... S-sssì, con quella rivista dimostravo di saperci fare... Ma parlare di ORSI! Una cosa così limitante! E mi veniva suggerito di mettere le mie capacità giornalistiche al servizio del mondo gay “serio”, quello “generalista”, quello che meritava di più la mia attenzione. Il punto era che la nascita di WOOF! e tutto ciò che alla rivista era collegato, aveva origine dalla mia vicenda personale. Cioè dalla mia esitazione a riconoscermi come gay e come orso, proprio perché lontano, per gran parte della vita, da quei segnali che mi avrebbero aiutato ad accettare definitivamente chi ero. Questo, purtroppo, non veniva ben compreso da alcune realtà gay impegnate sul fronte politico. Un’idea di politica, a mio parere, fin troppo svincolata dagli individui e dalle loro sensibilità, e di conseguenza gelida e astratta, tendente a vedere i singoli come potenziale manovalanza più che come veri soggetti sociali.
Da qui nacque WOOF! e la sua piccola avventura editoriale. Da qui, partì il contributo di un pugno di uomini a dar voce alla cultura ursina, nella speranza – attraverso l’uso di materiale anche ludico – di svegliare qualche coscienza e – perché no – portare giovamento a qualche individuo fino ad allora rimasto isolato. Credo che questo, nel nostro piccolo, sia stato un successo.
Non me ne si voglia, dunque, se ogni tanto cedo alla tentazione di spezzare una lancia a favore delle etichette. Ricordiamo che in alcune dittature del terzo mondo è scientificamente vietato l’insegnamento della storia. Un espediente mostruoso, volto a gettare nella confusione le menti dei più giovani al fine di esercitare un maggiore controllo. Teniamoci dunque le parole, i simboli, le etichette, significanti, significati e tutto quel che ci aiuta a capire che... “cane” è un animale peloso, con quattro zampe, con la coda, che fa bau... e impariamo a usare tutto questo nel migliore dei modi. Il senso della misura è sotto la responsabilità di noi tutti. Sta a noi capire dove finisce il nome rivelatore di verità e dove inizia una vuota immagine al servizio del commercio. Quel che andrebbero cambiati, più delle parole, sono i modi in cui le si usa. E lì sì che è dura.
Viva gli Orsi, dunque. Viva la loro bandiera.
E naturalmente... Woof!
Forever.
1 commento:
Articolo formalmente ineccepile, soprattutto la parte in cui parli di simboli e del fallimento della moderna socioculturalità occidentale nel farne strumenti, invece che semplici icone.
Tristemente noto che una certa breccia si è formata anche nell'ambiente ursino, dove sempre più spesso si tende a trasferire le nevrosi ' da normalità ' tipiche di certi gay di oggi in comportamenti di negazione proprio dei codici e dei simboli, sostituiti da un omologante e ' normativo ' narcisismo personalista.
Comunque bellissimo lavoro..e viva gli orsi.
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