L’eremita San Romedio, vissuto nel medioevo, potrebbe essere definito il Santo degli Orsi, e il suo santuario nel Trentino è una meraviglia da conoscere
[Articolo di Elia Massa]
Fu eremita nei tempi più bui del medioevo: attorno all’undicesimo secolo, e fu fatto santo per i miracoli che, lassù sulle Alpi, compì. Il più rinomato dei quali è quello di avere ammansito un orso feroce che gli aveva sbranato il giovane monaco assistente, e poi avere convissuto con la bestia, nell’eremo, da soli per più di vent’anni. E l’orso si prese cura del vecchio eremita nei suoi ultimi anni, scaldandolo e fornendogli da mangiare quando il vecchio ormai non si muoveva più.
Si chiamava Romedio e divenne poi San Romedio; è sempre effigiato con una lunga barba bianca e l’orso ai suoi piedi, come un cane fedele. E’ molto venerato sia al di là che al di qua delle Alpi, una volta tanto senza distinzione di etnìa o di lingua sia in Tirolo che in Trentino. Ma il suo culto si spinge, ben radicato, fino all’Ungheria e alla Romania, in tutti quei luoghi, spesso selvaggi, in cui dominava l’impero austro-ungarico.
Il suo eremo stava all’inizio di una vallicella laterale della Val di Non, in Trentino, accanto al paese di S.Zeno. Lì oggi c’è un santuario a lui dedicato, mèta di fitti pellegrinaggi. Se capitate in Trentino nella bella stagione, la gita all’eremo è veramente un piacere.
Lasciate l’auto fuori del Paese di S. Zeno, al mulino e da lì o con un bus-navetta o a piedi fate i 5 kilometri che vi portano al santuario. E’ una passeggiata praticamente in pianura sul fondo valle, lungo un torrentello che gorgoglia per cascatelle e si quieta in larghe pozze. Se avete interessi botanici noterete molte specie di piante e fiori montani che altrove difficilmente si notano. Vi fermerete per un picnic sui massi ricoperti di soffice muschio e per rinfrescarvi i piedi nell’acqua gelida: tutt’intorno, querce, larici, conifere, felci d’ogni sorta. In qualche punto è quasi buio anche in pieno giorno, tanto è fitta la vegetazione a ridosso delle pareti di roccia.
Si arriva, in meno di un’ora, al santuario, costruito su un alto sperone roccioso, dov’era anticamente l’eremo del santo. Il santuario vero e proprio è una costruzione fantastica, quasi disneyana, cresciuta per accumulo, come un castello di sabbia, in cui le varie parti si addossano l’una sull’altra, asimmetriche e con il tetto a punta, sembra un castello fatato. Si sale all’ingresso per una lunga ma facile scalinata e poi la costruzione si articola attorno ad una scala di quasi 200 gradini. Affreschi ingenui ed ex voto antichi attestano quanto sia radicato il culto del santo e decorano le pareti, su su fino alla chiesetta vera e propria e poi, ancora più su, alla cripta del santo che, contrariamente al solito, non sta alla base della costruzione, ma in cima, nell’ultimo pinnacolo.
Due sorprese, una cattiva e una buona. Quella cattiva: dei poveri orsi tenuti in cattività per scopi turistici. Quella buona: il simpatico prete che custodisce il santuario e dice messa, bello rotondo, barbuto e con due occhi scintillanti che sembra uscito da Bear Magazine. Lasciatevi tentare!
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