domenica 3 aprile 2005

LA MOSTRA DELLE URSINITA'

Come si evolve il mondo ursino, archetipi e stereotipi

[Articolo di Francesco (Warbear) Macarone Palmieri]


Come si comporterebbe J.G. Ballard di fronte ad un orso?

Di sicuro in modo divertito di fronte ai Vanity Bear sebbene li vedrebbe contestualizzati in una delle sue visioni apocalittiche di "Crash" o di "Condominium" o di "Cocaine nights". Ho metaforizzato "La mostra delle atrocità" - il titolo di uno dei libri più famosi di Ballard - poiché in quanto nuovo Burroughs, lo scrittore basa la sua narrativa su una decostruzione radicale della letteratura classica attraverso stili di scrittura sperimentale e attraverso contenuti che teatralizzano ciò che viene percepito come mostruoso e mai metafora può essere attendibile, nel bene e nel male, rispetto al tema degli orsi . I Vanity Bear, da lontanissimo, Ci si avvicinano, portando nella loro intervista una critica agli stereotipi del mondo ursino e alle sue forme di emarginazione dialettica. Nonostante ciò sento il dovere di penetrare nel discorso per fare delle specificazioni sul concetto di orso e sul concetto di cacciatore; due parole che fanno parte di insiemi semantici diversi sebbene non troppo lontani. Il concetto di orso nasce a metà anni ottanta negli Stati Uniti per irrompere su un immaginario gay sedimentato con caratterizzazioni giovanilistiche e sopratutto votate alla femminilizzazione dell'identità omosessuale mentre la produzione di identità maschile era relegata ad un contesto che aveva già raggiunto la chiusura di un ciclo e, specificatamente quello leather-biker. Gli orsi nascono per costruire una terza via di genere maschile nel panorama omosessuale che non sia direttamente concatenabile a pelle, moto e sadomasochismo. Di sicuro la fuga dagli stereotipi gay dominanti e quindi da quel mondo glitterato di 17enni glabri, magri e biondi imposti da un certo tipo di mercato gay, ha fatto sì che si creasse un contro-luogocomune per il quale l'orso odia il ragazzo giovane e magro, anche se lo stesso e' orientato sessualmente, emozionalmente, amicalmente e intellettualmente nei suoi confronti. Vero è che la cultura degli orsi è basata sulla ricerca e sulla rappresentazione di mascolinità e assume caratteristiche via via differenti a seconda dei contesti geografici, sociali e culturali di riferimento, ma da qui a dire che gli orsi non amano le persone magre mi sembra un discorso banale e scontato. Scontato, sopratutto nella misura in cui l'identità ursina non è stabile e conclusa, bensì aperta e in crescendo, nel caso contrario sarebbe sedimentata e le sue espressioni, semplici reiterazioni o celebrazioni storiche. In questo senso, essendo quella ursina un'identità omosessuale ondivaga, aperta, molteplice, non riconoscendosi come tale, quindi chiusa e definita, non può (fortunatamente) identificare una sua immagine dialettica, antitetica, riassumendola nella figura del cacciatore. Fare il contrario è ripetere un grosso errore storico e semantico che ha creato catene di emarginazione e morte del libero pensiero. Sicuramente viene più facile pensare la vita in termini bipolari; 1/0, acceso/spento, bianco/nero, yin/yang, maschio/femmina, etero/omo, attivo/passivo e via continuando. Ma l'essere umano è molto di più, è il frutto di intrecci impossibili di identità, statusruoli, relazioni, profili psichici, è fatto di sfumature continua-mente cangianti, spesso anche contraddittorie e in questo senso la sua policromia è espressa e riflessa micrologicamente anche nell'immaginario ursino. Io credo che il discorso orso/cacciatore sia uno stereotipo tutto italiano o, meglio, sudeuropeo.

Negli Stati Uniti, in Europa centro-nord, in Australia, in ciò che viene definito "bearscape", tutti se la fanno con tutti. Orsi di tutti i colori e stazze con gente di tutti i colori e "peso". E' raro vedere emarginate delle figure che non rispecchiano le stereotipizzazioni ursine che ovviamente ce ne sono e sono parecchie ma che, comunque, non sono definitive e che sopratutto non contemplano la figura del cacciatore. Il concetto di "chaser" è legato ad un contesto differente ovvero quello Girth and Mirth, dove il rapporto chub/chaser è assodato e, diciamo primario, sebbene anche lì tutti se la fanno con tutti e basta andare ad un EBMC (European Big Men Convergence, parlo ovviamente per esperienza personale) per capirlo. Che poi le due scene si tocchino e si ibridino è splendido ma è fondamentale specificare questo tipo di diversità come e' fondamentale specificare che non basta di certo una pancia, una barba, una camicetta a quadretti, un cappello da baseball e un paio di caterpillar e, nel peggiore dei casi un paw (zampa d'orso) tatuato, per essere un orso (in tema di stereotipi, appunto). Aggiungiamo, e qui mi vergogno davvero anche solamente a scriverlo, che questa orrida idea di "orso lesbico" è un'altra macabra definizione che fa raccapricciare me e fa ridere di cuore i nostri fratelli extra-italiani ritraendo l'Italia, come italietta, un paese ignorante e provinciale defecato direttamente dal culo merdoso della seconda guerra mondiale e degno delle pantomime di Totò e Peppino. Paese dove, essendo gli orsi la versione gay effeminata dell'obeso, due obesi che si amano diventano lesbiche. Ditemi voi se questa logica non e' aberrante, atroce, marcia, squallida, triste, amara, frutto proprio di quella cultura gay che impone la femminilizzazione forzata delle relazioni sociali basandosi, consequenzialmente su una non accettazione della stessa attraverso un uso psicotico dei suoi linguaggi. E questo perché un contesto omosessuale in cui la gente parla al femminile per me non è ironia ma compensazione isterica dell'incapacità di accettare il proprio lato femminile, che sia più o meno marcato. Quindi l'orso diventa orsa, lui diventa lei e le orse diventano lesbiche. Questo tipo di pensiero mi fa vomitare poiché pregno di qualunquismo e di autorepressione, ancora una volta tutta tipicamente interamente ITALIANA. Esattamente la convergenza di elementi che ha dato vita al movimento degli orsi attraverso il rifiuto e l'auto-organizzazione ed esattamente ciò da cui io voglio prendere le distanze in quanto espressione di forme di potere ed autoritarismo che, con l'individualizzazione della mia sessualità, io voglio contestare e superare. Per me essere orso non è sentirsi parte di un'identità, parte di un gruppo chiuso ed elitario, parte di un linguaggio consolidato e forte, poiché degno di persone deboli che hanno bisogno di un'identit'a preconfezionata della quale vestirsi per riconoscersi.


Per me essere orso è varcare territori sconosciuti del mio essere e del mio godere e inebriarmi della piacere della conoscenza e dell'ardore della scoperta. Per me essere orso è ricercare sulla natura della mia sessualità e quindi ricercare sulla natura umana, comprendere il senso delle mie D*I*V*E*R*S*E visioni dell'omosessualità e di quanto queste possano diventare uno strumento per sviluppare D*I*V*E*R*S*E visioni della vita partendo dalla bellezza di corpi che, da un senso che pretende di essere dominante vengono definiti osceni, mostruosi, orrendi, disgustosi. Credo nell'estetica del disgusto e promuovo l'etica dell'oscenità. Per tali motivi, rifiutando l'autoritarismo del bello, rifiuto anche il contrario dell'imposizione feminilizzante ed eterosessualizzante del rapporto omosessuale ovvero la mascolinizzazione forzata. Ancora una volta, indossare camicette di flanella a quadretti anche quando si va a dormire, dire woof ogni due secondi (peraltro entrambi pertinenti ad un immaginario "blue collar" che non è nemmeno tipicamente italiano), vestirsi in pelle, pomparsi i muscoli, giocare la parte dei tori da monta denigrando il ruolo passivo, non fa di certo il maschio ma la sua debole interpretazione da patetico attorucolo di provincia, il quale, debole delle sue incapacità conoscitive ed espressive vela le sue impossibilità acquisendo i tratti, spesso i più vecchi e scontati, di ciò che pensa possa essere un'identità forte. Ancora una volta attitudine tipica dell'italiano gay medio, ma di questo magari ne parliamo un'alta volta. Tornando sul discorso degli stereotipi ursini in relazione al concetto di "chaser", se la vogliamo dire tutta e riferirci agli stereotipi ursini classici, nell'olimpo dell'IBR (International Bear Rendez-Vous), durante la premiazione, ci sono 4 figure specifiche ovvero Mr. Bear, Mr Daddy Bear, Mr. Grizzly bear, Mr. Cub, in aggiunta ci sono anche Mr. Leather Bear e mr. Muscle Bear ma non fanno parte della premiazione del ghota ursino mondiale che ne ratifica le identità. Il concetto di "chaser" è un fake, è fittizio e soprattutto, è stato mutuato in modo casuale e randomico dall'ignoranza di quegli interlocutori italiani che si sono fatti fino adesso promotori di cultura ursina basandosi su ignoranza e sentito dire (fortunatamente non sono stati tutti così) che continuano a pensare che a Mr. Bear vada contemporaneamente e specularmente annesso Mr. Chaser (Già il primo concetto, dopo 20 anni di Mr. Bear ovunque nel mondo, è morto. Il secondo invece non è mai nato) giustapponendo, lo ripetiamo ancora una volta, l'area Girth and Mirth - che non a caso, ripeto, in alternativa viene chiamata anche chubby/chaser, a quella degli orsi solo per il fatto che gli orsi hanno una "curva del benessere" più pronunciata - e non tutti per altro. Ci sono infiniti bestioni che non hanno un filo di pancia ma sono tozzi e imponenti, ci sono degli uomini che hanno solo una barba accennata e non hanno un filo di pelo ma che esprimono una mascolinità estremamente seducente e 100 volte più forte di molti orsi camicetta/cappellino effemminatissimi. Quest'anno per altro Mister International Daddybear è stato vinto da un tipo di cui la barba e il gilet di pelle ed anfibi pesano più delle sue stesse ossa, peli e muscoli che sono quasi nulli. Solo a guardarlo si spezza. Concludendo, per vanificare le identità e sottolinearne la produzione fittizia mi sento di dire che "chasers" lo sono tutti a questo punto. "Chasers" sono i cicci, i paparini/oni, i tori, i macellai, i camionisti, i poliziotti, gli orsi, i giovincelli, i transessuali, i travestiti e anche le donne (fag hags o meno); Tutti coloro che vanno a caccia di orsi sono chasers. Per questo io concluderei l'introduzione chiaramente focalizzata a chiarire le miserie dell'ambiente ursino (italico o meno) con il motto: siamo tutti "chasers" perché amiamo tutti gli orsi e ne siamo tutti a caccia sebbene i trofei che ci interessano sono lungi dall'essere appesi sui nostri camini.

I disegni in questo articolo sono di AP - http://www.apbeargallery.com/

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