sabato 21 settembre 2002

Bear Fiction: SUMMERTIME


[Racconto di Thallo]

Fin da piccolo avevo sempre giocato con le automobiline. Tra le quattro pareti della mia stanza, quel mio mondo sciolto da tutto in cui vivevo solo e silenzioso, tracciavo fantastici percorsi con oggetti qualsiasi e, illuminato dalle diverse sfumature solari che la serranda semichiusa lasciava entrare, giocavo per ore. Ripensandoci, ero proprio uno strano tipo. Sempre chiuso in casa, tra gli odori di cucina e lenzuola e con i miei percorsi automobilistici immaginari. Avevo un amore immenso per mio padre, e non credo che la cosa fosse del tutto reciproca. Beh, del resto, più il tempo passava più la passione per le auto rimaneva l'unico punto di contatto tra il mio e il suo mondo (sicuramente, i miei studi classici e le mie vagheggianti vene artistiche non lo entusiasmavano...), e forse proprio per la lontana e ammirata stima che nutrivo per lui, mi dedicai a coltivare un interesse che rendesse meno pesante la mia palese inadeguatezza alle aspettative di un normale padre mediterraneo.

Insomma, un po' per gioco, come da piccolo, un po' per autoaccettazione, entrai nel fantastico mondo del Rally. Guidavo bene, avevo soldi da spendere e un po' di soddisfazioni da dare. Ambiente strano, quello. Tutti pronti ad acclamarti, ma nessuno disposto a cambiarti una ruota. Sicuramente io facevo molta specie a tutti: in mezzo a torme di ragazzetti muscolosi e ubriachi che correvano tanto per impressionare le ragazze, io, pancione barbuto, con in una mano "Les fleurs du mal" di Baudelaire e nell'altra un panino con frittata di cipolle, davo davvero nell'occhio. Mettiamoci pure che nel mio team di meccanici nessuno osava rivolgermi la parola. Ero proprio una pelosa mosca bianca. ...ed era l'ennesimo Rally che stavo affrontando. Solito caldo aspro e solite messe a punto da fare alla macchina. In genere, prima della partenza, io leggevo o ascoltavo musica, e quella volta stavo proprio per alienarmi in questo modo quando mi si avvicinò uno che non avevo mai visto.

Mi disse "C'è bisogno di te in manutenzione. Quando lavoro voglio che il cliente controlli sempre quello che faccio."

Ero stupito. Pochi osavano rivolgermi la parola. Men che meno in termini così autoritari.

"Certo, malei sarebbe...?" chiesi un po' impacciato.

"Piacere, mi chiamo Franco. Ma tutti mi chiamano Ciccio. Sono il nuovo meccanico della scuderia. Sa, la considerano tutti molto antipatico. Eppure dall'aspetto non si direbbe. Vabbè, andiamo, c'è da lavorare e voglio un paio di opinioni sull'assetto che intendo fare sull'auto." E mi prese per un braccio, neanche mi avesse conosciuto da sempre, portandomi con sé vicino alla mac china. Io non sapevo che dire. A guardarmlo mi veniva quasi da ridere. Era alto, grosso, con folti capelli brizzolati, baffi e barba da nonno e un sorriso onnipresente e francamente disarmante. Sta di fatto che la collaborazione funzionò. Per la prima volta misi mano "da me" alla macchina e i ritocchini si rivelarono provvidenziali tanto che arrivai insperatamente primo. Che baraonda successe! Tutti i ragazzetti del team si scambiavano pacche sulle spalle e risate. Dal nulla arrivarono bottiglie di birra e fans urlanti che non credevo di avere. Anch'io ero abbastanza allegro, nei limiti del mio schivo modo di fare, e mentre salutavo i miei che montavano in auto per tornare a casa, saltai tutto a un tratto per una pacca sulle chiappe. Con gli occhi sgranati mi voltai e vidi Franco e il suo disarmante sorriso che mi diceva "Allora, trionfatore solitario, vieni o no a festeggiare con noi?"


Imbarazzato come sempre, risposi "No, devo tornare a casa. Preferisco dormire quando posso. Prendo la macchina da corsa e domani la riporto in officina."

Quasi come se avesse immaginato quella mia risposta e aggiungendo a quel suo sorriso uno sguardo da rivoluzionario cileno, ribatté "Mi spiace, allora. Perché l'auto è già sul camion e non penso che troverai qualcuno abbastanza sobrio da rimontarti le gomme in tempo utile. Poco male, sei di strada. Ti accompagno io a casa. E' meglio che scappi, altrimenti mi ritrovo a dormire sotto le stelle."E come aveva già fatto, mi attanagliò il braccio e mi trascinò verso la sua auto aprendomi lo sportello e obbligandomi con la forza del suo sorriso ad accettare il passaggio. Mi aspettavo, terrorizzato, un tragitto tutto domande e rutti, ma con mio sommo stupore insieme al motore Franco accese anche il lettore cd facendo girare un magnifico compact di Gershwin. Assurdo! Quel bestione di un meccanico adorava il jazz e il blues. Non capivo bene la situazione, ma iniziammo a parlare con piacere e serenità d'animo. La luna trasfigurava i paesaggi che ci guardavano dal di fuori, l'aria fresca estiva mi rilassava le membra e l'anima e le voci unite a un tempo di Franco e di Porgy mi riempivano la mente quasi infuocandomi le tempie. Che bella sensazione!

Poi si fermò. Così, senza dir nulla, l'auto si fermò. Franco scese senza guardarmi neppure e disse "Scendi, su. Devo farti vedere una cosa."

Non so, era come quando un mago chiede a un bimbo di guardare dentro il cappello. Ero stupito dall'odore del cielo e mi aspettavo davvero un qualche incantesimo strano. C'ero vivino! Sul bordo della strada, Franco mi indicava l'orizzonte davanti a sé, sorridendo. Un fiuem! Un fiumiciattolo che non avevo mai visto scorreva di fronte a noi circondato da arbusti e grandi rocce lucenti. Le stelle rendevano magicamente più azzurra dei mirtilli l'acqua fluente e illuminavano quasi la brezza che frizzante spandeva da laggiù. Mi sembrò così naturale. Posai la testa sulla sua spalla e riempii i polmoni dei profumi che mi avvolgevano. Lui mi guardò con occhi profondi e mi strinse a sé. Mi tremavano le gambe. Credo lo sentisse. Infine mi baciò. Un lungo bacio che mi aprì il cuore. Le sue mani iniziarono a massaggiarmi. Mi sentivo sciogliere in quel bacio e il sangue che mi saliva alla testa mi rendeva davvero malfermo sulle gambe. Senza volerlo caddi in ginocchio davanti a lui. Ripensandoci fu abbastanza grottesca come cosa, perché per riflesso mi aggrappai alla fibbia della sua cintura dando proprio l'impressione di essere abituato a questo genere di avventure notturne. Peccato che il mio viso, lo so bene, assuma colorazioni rivelatrici in occasioni simili. Franco non si scompose. Slacciò la fibbia della cintura, sbottonò i jeans e manovrò la mia testa ritmicamente respirando in modo sempre più affannoso. Si stese sull'erba già bagnata di rugiada, sbottonò la mia e la sua camicia e prese a baciarmi il petto villoso mentre io armeggiavo con i suoi capezzoli. Era come se dalla prima reciproca occhiata non avessimo pensato ad altro che a quello. Ogni mio gesto era perfetto, quasi programmato da tempo, ed entrambi conoscevamo già, misteriosamente, i modi migliori per dare piacere all'altro.

Ci trovammo nudi, sporchi d'erba e terra, intiepiditi dal nostro stesso calore. Mai come quella notte mi lasciai andare. Un insieme di pazzie rendevano perfetti quei minuti con lui. Non distogliemmo mai lo sguardo l'uno dagli occhi dell'altro. Nelle pupille di fronte a noi vedevamo riflesso il piacere che provavamo in prima persona. Fu bellissimo fare sesso così, con naturalezza e affetto, da perfetti sconosciuti o quasi. La luna continuava a rischiarare il fiume, e anche dopo rimanemmo a lungo abbracciati sulla terra bagnata. Intanto, il cd continuava ad andare risuonando una dolce ninna nanna.
So hush little baby, dont't you cry...

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