venerdì 20 maggio 2011

Kingpin: Rape and Revenge

La Marvel Comics ha recentemente aperto, nelle proprie serie a fumetti, a un contenuto gay friendly più marcato rispetto agli anni precedenti. La giovane coppia omosessuale Wiccan-Hulking, militanti nei Young Avengers, gode attualmente di una grossa visibilità e la loro popolarità è in crescita sia presso la comunità LGBT che tra lettori etero. La loro storia d’amore ha fatto piazza pulita di precedenti relazioni omosessuali targate Marvel, fatte più che altro di emozioni suggerite (Mystica e Destiny, Rictor e Shatterstar) e sfuggenti sottotesti. Nello stesso tempo (ma con molta più parsimonia) qualcosa si è andato muovendo nella rappresentazione di un eros meno asservito ai cliché e più aperto a suggestioni di genere Bear, mostrando nudo il guerriero asgardiano Volstagg e regalando persino un velato ditirambo della sua arma virile, oppure spogliando con maliziosa frequenza il villosissimo semidio Ercole. Certo, non tutto è oro quel che riluce, e alcune escursioni nell’extraterritorialità dell’erotismo mainstream si tingono ancora di trash... e di violenza. Soprattutto se mostriamo un ciccione (per molti portatore, nel suo corpo, di simboli erotici sia maschili che femminili) diventare oggetto di attenzioni sessuali. L’effetto «Squeal like a Pig» subito dal paffuto attore Ned Beatty nel classico film Deliverance (Un tranquillo week-end di paura) sembra essere ancora l’approccio più presente nella fiction destinata a un pubblico generalista. E l’episodio della violenza carceraria pare essere ancora una caramella da lanciare in pasto ai lettori di crime story, avidi di conoscere i traumi che hanno forgiato i loro truci beniamini.

Lo scoop è che la scena incriminata, stavolta, riguarda il personaggio di Kingpin, il gigantesco e cattivissimo gangster che in casa Marvel è un po’ il burattinaio di tutto il crimine organizzato. Creato come avversario dell’Uomo Ragno e molti anni dopo reintrodotto, in una chiave più virata al noir, come nemesi di Daredevil, Wilson Fisk (in arte Kingpin, cioè il Capo) subisce un ulteriore restyling nel reboot della nuova serie “per lettori maturi” dedicata al Punisher (Punisher Max: Kingpin). Il racconto fa un salto indietro nel tempo, mostrandoci gli inizi delle carriere sia dell’inarrestabile vigilante che dello spietato e gigantesco criminale. Per la prima volta, vediamo Kingpin bambino, scopriamo gli orrori della sua infanzia e i suoi primi delitti. Lo vediamo crescere, diventare calvo, ingrassare come un Budda, finire in prigione e prenderlo brutalmente nel didietro mentre la canaglia di turno gli sussurra «Hai le tette più grosse di quelle di mia moglie».  

Lo sceneggiatore Jason Aaron e il disegnatore Steve Dillon (già presente da tempo sulle serie dedicate al Punisher) presentano l’episodio inserendolo in un banchetto di turpitudini non estranee ai fans delle avventure di Frank Castle. Il pur meritevole Dillon, reduce degli eccessi pensati da Garth Ennis per il suo Preacher, sembra (ahilui) destinato a percorrere la stessa china dello sceneggiatore irlandese con il quale ha realizzato il suo primo exploit importante. Diventare, cioè, un cantore dei dettagli più sordidi e stucchevoli, dei volti perversi fino alla caricatura, e della sofferenza spesso fine a se stessa. Lo sceneggiatore Jason Aaron in questo non lo aiuta, spingendo sul pedale del gore al punto che le atmosfere noir del Punisher assomigliano sempre più al torture porn che al poliziesco e alla crime story.
 
Proprio l’episodio della violenza sessuale sull’obeso e cattivissimo Kingpin (non ancora conosciuto e temuto come in seguito) mostra la corda di questa scelta stilistica. Se per un orsofilo, vedere il corpo di Wilson Fisk trasformato in oggetto erotico può suscitare un fugace brivido, il contenuto risulta scontato, e paradossalmente, per un fumetto con il marchio “Max – riservato a lettori maturi”, desolatamente infantile e privo di una logica narrativa degna di questo nome.
La violenza subita da Kingpin (glielo fanno sentire tutti i detenuti presenti nelle docce spedendolo in infermeria per tre settimane) è ovvio preludio a una feroce vendetta che richiama alla memoria il Pulp Fiction di Quentin Tarantino. Senza entrare nei dettagli, Fisk attende di uscire di galera. Fa scempio (indovinate un po’ come) dell’ignara moglie del suo principale stupratore (dopotutto, non poteva competere in fatto di tette) e fa recapitare al marito, ancora in prigione, un pacco di foto che documentano dettagliatamente il rito. Il marito sclera, fa una carneficina, evade in tempo record e si precipita a casa dove trova ad attenderlo... Kingpin che ne farà lentamente polpette per barboncini.

Per la serie “mi prendi per il culo?”. In questo caso, alla lettera. Forse qualcuno, in casa Marvel, ha pensato che mostrare le chiappe striate di sangue di quell’omone di Kingin, e un nerboruto che gli si appressa a brache calate, avrebbe eccitato i lettori al punto di annebbiare ogni loro ulteriore giudizio.
Beh, non funziona. Nella dinamica narrativa proposta non esistono ostacoli istituzionali di nessun tipo, né è sufficiente dire che l’istituzione carceraria (in questo caso americana) sia difettosa o che la polizia non sa fare il proprio mestiere. Parliamo di un’evasione fin troppo facile (infatti non viene neppure mostrata), di un pacco di foto che documentano brutali violenze su una donna, un marito nel panico che invece di denunciare l’emergenza fa fuori tutti ed evade per correre a casa. Un vendicatore che fa i suoi comodi nell’abitazione del suo nemico, dove già si è consumato un brutale assassinio, e addirittura lo attende senza temere alcuna interferenza.

Al di là del potere criminale (qui peraltro mostrato ancora in una fase di ascesa) gli sviluppi di questa storia, ascrivibile al genere rape and revenge, sono, più che illogici, decisamente puerili. Privi di logica e con più buchi di un colabrodo, giusto per mostrare maschioni che si scannano indisturbati. Non è facile da scusare a un fumetto che vorrebbe presentarsi come adulto, tosto e cazzuto. Ma che alla fine della fiera risulta soltanto noiosamente violento, e ormai anche lo splatter, nei fumetti, ha perso gran parte della sua carica provocatoria. Appare leziosa, e le smagliature dei contenuti si affacciano evidenti come larghi sorrisi beffardi.
Resta soltanto un sguardo alle morbide natiche del più grande gangster della Marvel e sempre più voglia di fare l’amore e... mandare a farsi fottere la guerra.



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