mercoledì 4 maggio 2011

Bear Fiction: L'algerino, una Domenica a Marsiglia [di GigiBear5]

 Racconto di GigiBear5
 Illustrazioni di Renenou

Quell’agosto del ’63 fu caldissimo. Avevo da poco compiuto 18 anni ed ero bloccato in casa a studiare per ripresentare l’esame del Bac a settembre, esame che avevo stupidamente  fallito a giugno. Era domenica, ero solo ed al senso di frustrazione si era aggiunto il fatto che tutta la famiglia, gli amici ed anche i vicini erano fuggiti dalla città per cercare refrigerio in campagna o al mare. Accesi la radio per rompere il silenzio ed avere un poco di compagnia. Venni sbeffeggiato da Sheila e la sua “L’école  est finie”. Non per tutti, pensai. La residua, scarsa, voglia di studiare svanì immediatamente e mi prese la smania di uscire, di passeggiare, di fare qualsiasi cosa pur di non rivedere i libri su cui dovevo passare le ore.

Indeciso su come passare quel pomeriggio presi l’autobus per il centro, m’incamminai nella città quasi deserta, irrealmente silenziosa, immaginai che fossero tutti in vacanza, a godersi il mare, a divertirsi in spiaggia, a leccare gelati e rinfrescarsi coi cocomeri in ghiaccio, mentre io mi scioglievo di caldo. Pensai di andare al cinema, magari in uno di quelli che conoscevo bene per le attività che si svolgevano nelle ultime file o in piedi nella galleria, amori frugali bruciati in 5 minuti. Un poco di sesso con qualche sconosciuto avrebbe placato il senso d’oppressione e di solitudine che mi aveva preso. Sudavo nell’aria rovente, il marciapiede sembrava fondersi sotto ai miei piedi, scartai l’idea del cinema, troppo caldo, a quell’ora sarebbe stato soffocante.


La stazione mi sembrò più interessante come luogo di caccia, i bagni erano il posto giusto per un facile incontro senza conseguenze. La lunga fila dei pisciatoi sembrava l’esposizione delle banane, gli avventori si scambiavano sguardi, si sporgevano a misurare le evidenti eccitazioni, qualcuno sfrontato allungava sinuosamente la mano a toccare la mercanzia, qualche rapido cenno, alzate di ciglia che domandavano “qui o altrove?” e sparivano nelle cabine a consumare. Mi misi vicino ad uno robusto che di spalle sembrava un portuale, aveva l’età e la taglia che mi hanno sempre attirato.
Era arabo, con la pelle scura, bei baffoni curati con una piccola rasatura a fare da stacco sotto al naso. Era vestito da festa, come amavano fare i lavoratori straneri nell’unico giorno libero, incravattato nonostante il caldo, camicia e pantaloni stirati e scarpe lucide. Lo guardai fisso, ricambiò lo sguardo, segno che gli potevo interessare. Aveva intensi occhi color miele scuro. Scesi con lo sguardo là in basso e lui scostò la mano che mi impediva la visuale.
Si masturbava dolcemente, senza fretta. Un cazzo tosto, non enorme ma bello, ben proporzionato con una gran cappella completamente esposta. Mi venne il desiderio di toccarlo ed assaggiarlo. Feci un cenno d’invito per entrare in una delle cabine bagno, scosse la testa con un movimento secco aggrottando le sopracciglia che era un no tra disgusto e paura. Pensai rapidamente a dove poterlo portare, a casa non potevo ed era troppo distante, doveva essere consumato qui ed ora. Gli proposi con un altro cenno di uscire, annuì, ripose l’attrezzo nei pantaloni e mi seguì.

Gli spiegai in poche parole che mi piaceva e che avrei voluto giocare con lui ma che non avevo un posto, gli proposi nuovamente di entrare nel bagno ed usare una delle cabine. Scosse di nuovo il capo e disse:
«Troppo pericoloso».
In effetti se era pericoloso per un marsigliese farsi beccare in quella situazione, poteva essere molto peggio per un maghrebino, con la guerra d’Algeria ed i fascisti sempre in caccia per menare chi provenisse dall’altra sponda del mediterraneo. Figurarsi se omosessuale. Anche la polizia non ci andava cauta in quelle situazioni.

Conoscevo un alberghetto sordido a pochi metri dalla stazione, non lo avevo mai utilizzato, ma sapevo per sentito dire che offriva camere per poche ore a prezzi possibili, e non rifiutava neri, arabi o coppiette in cerca d’intimità. Gli proposi di andare lì a consumare, tentennò a lungo, la paura di essere visto in mia compagnia era forte, la comunità araba era molto presente in quel quartiere, nemmeno loro scherzavano con chi era in contatto con i “bianchi”, gli estremisti del FLN potevano dichiarare qualcuno troppo compromesso con la frequentazione degli europei e sgozzarlo. Il problema non era l’omosessualità, mai ammessa ma praticata, ma il rapporto con un francese. Alla fine vinsero il suo desiderio di fare sesso e la mia insistenza, accettò. Gli indicai la direzione e ci accordammo in modo che io mi avviassi e prendessi accordi per la stanza mentre lui mi avrebbe seguito a qualche metro di distanza. Sarebbe entrato solo ad un mio cenno che tutto era andato come previsto.

L’Hotel Imperial, era tutto tranne che imperiale, piccolo, su tre piani, con una quindicina di stanze mai rinnovate, ed una facciata che aveva visto una mano di colore forse nella belle epoque. L’ingresso era circondato di marmo grigio e sembrava una macelleria con un lungo corridoio. Il corridoio si allargava nella zona della reception, dietro al bancone si intravedeva una sala da pranzo con alcuni tavoli, molti ninnoli polverosi raccolti in troppi anni e mai buttati, oltre a quadri orrendi in cornici ancor peggiori. Il conciergie era bassino, magrolino ed insignificante, leggeva “Le Méridional” la camicia che teneva sbottonata fino al petto aveva grandi aloni di sudore. Aveva un piccolo ventilatore che invano tentava di farlo smettere di sudare, si passava in continuazione un fazzoletto sulla fronte e sul collo per asciugarsi. Dalla radio che teneva accesa da qualche parte sotto al bancone veniva la vocina di Françoise Hardy “..tous le garçons et le filles de mon age…”
Chiesi una stanza per due.
«Per una notte?»
«No per qualche ora» risposi imbarazzato.
Allungò il naso fuori dal bancone e vide l’arabo sulla porta.
Fece un’espressione di sorpresa e disse:
«Ah due uomini… attenda un attimo.»
Sparì nel corridoio alle sue spalle che dava sulla sala da pranzo. Cominciai ad innervosirmi, era la prima volta che prendevo una stanza in albergo con un altro uomo. Ritornò dopo un paio di minuti con un sorrisetto untuoso e l’occhio luccicante.
«Di solito non prestiamo accoglienza per poche ore nelle nostre stanze, ma per voi faremo un’eccezione, il proprietario ha acconsentito a darvi una camera. Sono 70 franchi anticipati.»
Pagai, non mi chiese i documenti, segno che quei 70 franchi non sarebbero stati denunciati al fisco. Ne approfittai e diedi generalità false. Feci un cenno all’arabo che tutto era andato bene e poteva entrare.
«Ecco la chiave, stanza nr. 11 al primo piano. Gli asciugamani sono sulla sedia vicino al lavandino.»
Salimmo con lo sguardo dell’ometto ed il suo sorrisetto che ci inseguivano su per le scale.

Entrammo e richiusi la porta appoggiandomici come se fossimo entrati nudi in chiesa. Ci colse un senso di pericolo scampato e di vergogna. La stanza era grande, poco illuminata per le persiane socchiuse e le tende tirate a trattenere fuori il calore. Il letto era matrimoniale, grande, centrale, con una coperta di un rosa che aveva visto tempi migliori. La carta da parati era vecchia, scolorita e scollata in qualche giuntura. Oltre ad un lavandino, un piccolo bidet mobile, un armadio da scapolo, un piccolo tavolo e due sedie, non c’era altro arredo nella stanza. Ciò che attrasse la nostra attenzione fu un enorme specchio orizzontale, lungo quanto il letto, che occupava una parete intera.


Ci spogliammo in silenzio, dandoci la schiena, riponendo gli abiti con misurata lentezza, come se ci vergognassimo di essere arrivati a quel punto. Mi girai, lo stacco di abbronzatura sulla sua schiena era evidente, nonostante la pelle olivastra, probabilmente lavorava a torso nudo, immaginai fosse, come molti maghrebini, un muratore. Aveva chiappe e gambe sode, muscolose e pelosissime. Quando si girò la sua eccitazione fu evidente. Mi inginocchiai, glielo accarezzai e me lo sfregai sulla faccia. Era durissimo e palpitante. Glielo succhiai e dai piccoli grugniti che emise capii che gli piaceva molto. Non era rasato come molti suoi compatrioti ed aspirai assieme al suo sapore il profumo speziato della sua pelle, profumo di maschio, cannella, chiodi di garofano, zafferano e patchouli. Mosse il bacino ritmicamente mentre glielo succhiavo, aumentò il ritmo e mi tenne la testa con le sua mani forti. Prese possesso della situazione in modo deciso, voleva far capire chi comandava. Mi esplose in bocca dopo un paio di minuti, godeva tenendo la bocca chiusa, gemeva e si tratteneva, come chi è abituato a far l’amore facendo attenzione a chi gli dorme accanto o non deve sentire. Pensai di soffocare per la grande quantità di sperma che mi riversò in gola.

Temetti che fosse finita lì, davvero poca roba per tutto l’impegno per convincerlo a venire in quel cesso d’albergo, ed invece appena gli rilasciai il cazzo, che era ancora completamente duro, mi prese per le ascelle e mi appoggiò in ginocchio sul letto, s’inumidì le dita e mi bagnò il buchetto, gli servirono pochi secondi per essere completamente dentro di me. Gridai di dolore per la sua irruenza ma poco dopo il calore si diffuse dentro di me e cominciai a provare piacere. Scopava con un bel ritmo cadenzato, senza fretta ma con energia, si guardava allo specchio mentre me lo infilava ed i nostri sguardi si incontrarono più volte, in una complicità maschile riconfermata.
Lo specchio era affascinante, ci sdoppiavamo, ci guardavamo far l’amore come se fosse un’altra coppia.
Eravamo in  quattro a scopare, due me e due lui.
Raccolse le mie gambe e mi fece ruotare su un fianco, riprese a scoparmi in quella posizione, si divertiva a guardare il suo bel cazzo tosto entrare ed uscire completamente dal mio ano, con quel piccolo “pop” quando estraeva anche la cappella.

Mi sentivo completamente suo, scopava benissimo ed aveva uno sguardo divertito e cattivo allo stesso tempo. Aveva la pelle lucida, imperlata di sudore che scendeva rimbalzando in piccole stille su ogni pelo. La pelle era bruciata dal sole ma liscia, mentre le sue manone erano ruvidissime e mi trattavano come un pezzo di carne inanimata, non mi accarezzava, non mi coccolava, mi possedeva.
Continuava a produrre piccoli gemiti mentre io non potevo smettere di dire degli infiniti sì,sì, sì, ad ogni colpo affondato. Ero completamente eccitato, il cazzo quasi mi doleva e non me lo ero ancora toccato. La possibilità di vedere questo arabo grosso, solido, baffuto che mi prendeva e mi spingeva le gambe verso il petto per aprirmi il culo completamente e mostrarlo all’altro che mi scopava nello specchio, aggiungeva un piacere psicologico a quello fisico.

Dopo avermi sbattuto per qualche minuto in quella posizione mi ribaltò completamente, mi buttò le gambe all’aria tenendomi per le caviglie. Mi trattenne così col culo sospeso e cominciò ad entrare in me ancora più violentemente, ogni colpo mi faceva arrivare ondate di calore, mi sentivo un giocattolo nelle sue mani, posseduto fino al cervello. Le sensazioni si accumularono, le ondate di piacere si sovrapposero e persi il controllo della mia prostata e delle mie palle, stavo godendo senza toccarmi.
Gli dissi “Io godo” ed lo sperma cominciò a fluire dal mio cazzo, più lentamente di qualsiasi altra occasione, ma in modo così intenso e sconvolgente che mi sembrò di aver goduto per due, sia per me che per l’altro me che era nello specchio. Al sentirmi stringere il culo e godere anche l’arabo esplose e sborrò dentro di me, questa volta grugnendo e gemendo. Sentivo e vedevo grazie allo specchio le sue gambe vibrare mentre le chiappe sembravano spremersi come se volesse schizzare dentro di me tutto lo sperma del mondo. Quando lo lasciò scivolare fuori sentii il suo fluido assestarsi nell’intestino e mi sembrò una quantità enorme. Restammo lì ansanti ad aspettare che passasse la bufera ormonale che ci aveva sommersi.

Parlammo per qualche minuto, gli chiesi della sua vita, mi raccontò a fatica con poche parole e frasi molto brevi della sua situazione, era algerino, poco più che quarantenne, con moglie e 4 figli che rivedeva ogni due anni quando rientrava al paesello nella zona di Bougie (ora Bejiaa). Era muratore anche in Algeria ma qui guadagnava molto di più, poteva risparmiare e mandare danaro alla famiglia. Condivideva un piccolo alloggio con altri due conterranei non tanto lontano dal quartiere di Saint Charles, per questo era molto cauto e spaventato di poter incontrare qualcuno di loro. Cercava di non spendere un franco per il proprio piacere, sognava di rientrare in Algeria e col denaro guadagnato cominciare una attività e far progredire la famiglia. Non aveva nessuna femmina a disposizione in Francia, le puttane erano care e… esitò… non sicure. Immaginai che intendesse pericolose perché le meno care erano minate dalla sifilide. Non osò chiedermi nulla di personale, nemmeno il nome, esaurito il momento di passione in cui aveva dominato il rapporto, tornò a farsi sentire la differente estrazione ed uscì la sua soggezione rispetto ai nativi. Gli chiesi delle difficoltà di vivere all’estero. Con un sospiro mi raccontò della paura di fare cattivi incontri, con le bande dell’ OAS* pronte a fare le loro “ratonnades*” da una parte, ed i compatrioti estremisti dall’altra. Non c’era tristezza nelle cose che diceva, semplice constatazione. Compresi le motivazioni della sua riservatezza e non feci altre domande.

Dopo una sigaretta cominciò ad accarezzarmi con le sue mani ruvidissime, mi diede un bacio senza aprire le labbra e mi disse:
«Vieni dolcezza, ho ancora voglia di te.»
Mi prese sul fianco senza fretta, mi alzò la gamba per penetrarmi meglio, lo fece a lungo accarezzandomi il ventre, mi fece godere molto. Ci guardavamo fissi negli occhi attraverso lo specchio, ci comunicavamo piacere, sensualità e complicità, era il nostro piccolo segreto quella condivisione di emozione. Venne una terza volta ed ancora mi sembrò che mi avesse inondato gli intestini.

Ci lavammo, ci rivestimmo e lui mi fece capire che aveva fretta di andare, e che avrebbe preferito uscire da solo per evitare di poter essere collegato alla mia presenza in albergo. Lo lasciai andare con una vaga promesse di rivederci, rispose con un improbabile:
«Può darsi.»
Sbirciai tra le tende e lo vidi allungare il passo in direzione della piazza d’Aix, ora che l’algerino era in salvo potevo uscire anch’io dall’hotel.
Riconsegnai la chiave al conciergie che mi chiese di attendere.
«Il proprietario vorrebbe parlarle.»
Pensai che il proprietario volesse farmi richieste erotiche.
Il conciergie mi fece accomodare nella sala da pranzo, il proprietario mi aspettava lì seduto ad un tavolo, circa sessantenne, grasso, calvo e con gli occhiali. Mi fece accomodare di fronte a lui, abbassò la radio e la lasciò in sottofondo.
Esordì con:
«Noi di solito non accettiamo coppie maschili, ma ho voluto fare un’eccezione per voi visto che sei un “bel giovanotto”.»
Lo disse in un modo così untuoso che pensai volesse chiedermi di fargli una pompa. Proseguì:
«...bisogna stare attenti perché la polizia fa dei controlli… tu capisci? Anche se da noi non si corrono certi rischi… tu capisci? Noi sappiamo come comportarci in questi casi… Qui da noi non ci sono mai problemi… tu capisci? Quando vorrai potrai sempre venire con altri uomini… tu capisci?»
«Grazie è molto gentile.»
Cominciò a ridere gonfiando la pancia. Si toccò il pacco aggiustandoselo e disse:
«Del resto… tu capisci… abbiamo potuto godere del vostro bello spettacolo attraverso lo specchio, ne valeva la pena.»
Una vampata di calore mi fece arrossire dai piedi ai capelli e mi trovai bagnato di sudore.
«Non ti innervosire, sono un amatore di questo genere di spettacoli, anche se più spesso tra uomini e donne. Ho molti amici, buonissimi amici, che amano questo genere di spettacoli… tu capisci? Persone facoltose che possono pagare… se ti interessa… tu capisci? Posso fornirti la stanza gratuitamente ogni volta che lo desideri e in più posso offrirti un poco di denaro per le tue spesucce. Se tu sei d’accordo possiamo organizzare dei piccoli spettacoli grazie ai tuoi incontri. Tu capisci?»
Mi sentivo sempre più rosso e mi mancava il respiro.
Proseguì:
«Il tuo “bicot*” lo rivedrai presto?»
«Può darsi...»
«Tanto lui o un altro non importa, a quelli lì gli proibiscono di bere mica d’incularsi. Non gliene frega niente se s’inculano finché non bevono… tu capisci? Quello lì però ti scopava bene. Allora che ne dici?»
Avevo gli orecchi in fiamme, mi sentivo bruciare.
«Non so, devo pensarci, mi prende così... alla sprovvista.»
Si lisciò il davanti dei calzoni, accarezzandosi lentamente la patta e guardandomi in faccia. L’invito era chiarissimo.
«Bene, pensaci, e ricordati che qui puoi avere sempre la camera gratis se vieni a farti una bella scopata.» Fece una risatina di commiato.
«Grazie.»
Mi alzai ed uscii, il concierge mi regalò un altro dei suoi sorrisetti maliziosi.

Appena fuori, nonostante il calore insopportabile, cominciai a respirare meglio, lo stupore nei confronti dell’offerta ricevuta mi abbandonò.
Presi l’autobus in direzione nord per ritornare a casa, ai libri, con un languore ed una sensazione piacevole che mi attraversava il corpo. Mi accorsi nell’immagine riflessa del finestrino del leggero sorriso dipinto sul mio viso, quel gioco di immagini riflesse mi fece pensare all’algerino senza nome, che mi aveva rubato due ore di sesso e svelato un mondo nascosto dentro ad uno specchio.

Quella proposta si riaffacciò molte volte nei miei pensieri, la tentazione di ripetere l’esperienza era forte, essere al centro dell’attenzione morbosa di qualche sconosciuto nascosto da una parete di cristallo, provocarlo, attizzarlo o causarne il piacere, era eccitante, ma la paura di poter essere fotografato o filmato mi ha sempre trattenuto dal ritornare all’Hotel Imperial. L’emozione ed il piacere ottenuti non si smorzarono, anche dopo aver appreso di essere stato osservato mentre facevo l’amore dal rozzo, xenofobo, proprietario d’hotel e dal suo assistente. Il fascino per le immagini riflesse nello specchio da allora in poi, è divenuto uno dei migliori supporti delle mie attività amorose.


*bicot = espressione denigratoria gergale francese con cui venivano denominati i maghrebini.
*OAS (Organisation Armèe Sécrete) = gruppi per il mantenimento dell’Algeria nell’orbita d’interesse francese, autori di molti attentati e di molti morti, militanti dell’estrema destra.
*ratonnades = rastrellamenti punitivi di maghrebini. La denominazione deriva da raton = topo, espressione denigratoria rivolta agli arabi in generale.



 
 

1 commento:

theAmir ha detto...

complimenti all'autore e anche all'illustratore, ciao Gigi ciao René! Amir