martedì 21 luglio 2009

La Lanterna Magica di Earl House

Si dice che la sessualità maschile si sviluppi con una forma di sudditanza nei confronti della vista. L’occhio, insomma, sarebbe il principale organo attraverso il quale un individuo maschio apprende, cataloga, sceglie e gradisce quanto turba il suo spirito. Il cervello, i giochi della mente, per quanto importanti, nascerebbero successivamente, quando ogni figura, superato il confine delle pupille, ha già preso il suo posto nel teatrino intimo dell’immaginario. E’ più che normale, dunque, che il sesso e i corpi siano tanto spesso il tema centrale di pittura, scultura, fotografia. Ovviamente in sintonia con sensibilità differenti, pur seguendo sentieri comuni. Il mondo artistico, e deliziosamente ursino, del fotografo statunitense Earl House attinge allo stesso eros ruvido e selvatico che in Italia conosciamo soprattutto attraverso le foto artistiche di GianOrso. Ma lo sviluppa in modo personale, in apparenza più esplicito nella rappresentazione del sesso, ma con una ricerca plastica attenta all’uso del colore e dell’armonia tra i corpi. Come molti fotografi, Earl proviene da una gavetta come disegnatore. Una galleria di nudi color pastello dove l’imponenza dei corpi è resa mite da una luce delicata. Colori che diventano brillanti nel passaggio al mezzo fotografico, come una frustata di realtà, ma che conserva il medesimo approccio introspettivo all’immagine. Permangono gli stessi feticci, a partire dalla preferenza per i modelli dal ventre largo e dai pettorali abbondanti, all’uso di cuscini e lenzuola dalle tinte sgarganti. Il senso del teatro è un altro degli elementi protagonisti delle foto di cui Earl House si fa architetto. Si veda la lunga e affascinante sequenza dedicata al modello di nome Dan, un orsone abbandonato sui guanciali, il cui sguardo, uno scatto dopo l’altro, esprime riflessione, sereno torpore e una crescente intimità con l’occhio di chi guarda, denudandosi castamente fino a un’esplosione di sensualità che riempie l’immagine.

Questa è la forza della lanterna magica attraverso la quale Earl House osserva l’estetica ursina. I corpi sono centrali, e non potrebbe essere diverso, ma la foto si propone si andare a guardare al di là della carne, al di là del sesso, ricorrendo in modo frequente a simboli scenici e associazioni di impatto immediato. La rete di ombre tessuta dal telaio di una finestra che fascia il corpo di uno splendido uomo afroamericano. E quasi sembra sezionarne le membra, con un risultato geometrico ipnotico. La frutta, simbolo di vita e di gioia dionisiaca, sul petto dello stesso uomo. L’amore, la coscienza, e l’ambiguità dei sentimenti, portata in scena dall’angelo di pietra che veglia sugli amori di due orsi che per stringersi l’uno all’altro indossano una maschera. Poi c’è il sesso dichiarato. La pulsione orale esibita con orgoglio, quasi con sfida. L’apoteosi della carne che va oltre i limiti, e dell’abbraccio (e dell’orgia) che dà vita a un’unica creatura mitologica. Un Laocoonte che svela i suoi sottotesti erotici e ne fa un abito da indossare con sfrontatezza.
Potremmo dire che le foto di Earl House comunicano una sensazione di pacatezza pur nella loro carnalità. Amore per la contemplazione e passione per gli arabeschi colorati. Un viaggio visivo che diventa ben presto performance fantasiosa, e germina nella mente di chi osserva una lussureggiante foresta, irta di vita, suoni e profumi.














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