domenica 1 agosto 2010

Ricordare BEAR Magazine

Chi ha abbastanza grigio tra i peli la ricorda ancora con simpatia. Parliamo di BEAR Magazine, la rivista ursina prodotta a San Francisco tra il 1987 e il 2002. Una delle prime riviste gay totalmente dedicate alla cultura bear, che raccoglieva foto di uomini dai corpi massicci, barbuti e pelosi, rappresentativi di un immaginario erotico della porta accanto, della strada, del ruvido mondo reale. In una parola: orsi. BEAR, fu una delle iniziative che accesero la miccia sul finire degli anni 80 e definirono la cultura ursina, gettando le fondamenta per una quantità di imitazioni e sperimentazioni, sempre nel segno dell’orso, che si sarebbero sviluppate un po’ in tutto il mondo. Richard Bulger e Chris Nelson, primi a utilizzare in America l’etichetta “orso” per indicare l’uomo corpulento e peloso, fondarono insieme BEAR, una rivista inizialmente fotocopiata. Una fanzine, insomma, che raccoglieva foto erotiche, fiction in tema, e un vasto spazio riservato agli annunci personali. Internet ancora non c’era, e le pagine di BEAR Magazine rappresentavano, per la comunità americana, la principale piazza in cui conoscersi, scambiarsi messaggi e potersi incontrare. Erano tempi eroici, che col passare degli anni avrebbero influenzato anche noi in Italia, portando lo storico gruppo degli Orsi Italiani a produrre la loro specifica rivista, e noi – più tardi – a lanciare WOOF!, che prima di approdare alla blogosfera ha goduto di una vita cartacea discretamente lunga per una fanzine autoprodotta.


Ma Bulger e Nelson non si fermarono a BEAR, e fondarono Creative Associates, primo vero editore dedicato alla materia ursina, che successivamente cambiò in Brush Creek Media (si racconta che l’azienda prese il nome dalla località in cui Bulger e Nelson erano soliti trascorrere le vacanze: Brush Creek in California). Più tardi, la ditta fu acquistata da Bear-Dog Hoffman, che ampliò il giro di affari trasformando la Brush Creek in impresa multimediale, produttrice di video a tema gay oltre che di riviste.


Tuttavia, i tempi cambiano, e BEAR Magazine cessò le pubblicazioni nel 2002, soffocata dalla crisi editoriale e dai debiti. Dopo una lunga contesa legale, a chi era rimasto al timone della rivista fino alla fine, sono andati il possesso dello storico logo BEAR e i diritti d’uso su quanto già pubblicato su carta e video.
«Se quel che ci è rimasto è un limone ammuffito...» scrivono nella presentazione del loro nuovo sito, «faremo la limonata spremendo BEAR, e faremo uscire la rivista dal suo lungo letargo.»
Così nasce il sito www.bear-magazine.com, come un tuffo affettuoso nel passato recente, per poi riemergere e puntare gli occhio al futuro. L’obiettivo è quello di conservare on line un archivio che documenti l’importanza storica di BEAR e l’impronta fondamentale che questa ha lasciato nella comunità ursina odierna. Naturalmente, sarà possibile acquistare i vecchi numeri di BEAR, ma anche tenere d'occhio le offerte ursine multimediali più recenti, video, calendari e altro ancora.
Il dialogo si riapre in rete, dunque, dove sarà possibile anche ai più giovani scoprire questa pietra miliare nella storia degli orsi. Senza BEAR Magazine molte realtà oggi date per scontate, probabilmente, non ci sarebbero. O almeno sarebbero molto diverse. BEAR è stato il primo segnale, la prima piazza virtuale, la prima bandiera, capace di dar voce al sentimento sommerso di chi amava gli orsi, di chi lo era, ma aveva bisogno di incontrare i propri simili per aprire gli occhi e poter iniziare a vivere liberamente. Sono passi da non sottovalutare, in cui persino la bistrattata pornografia può diventare uno strumento di comunicazione sociale in grado di aprire una breccia negli animi. BEAR è un’icona che teniamo cara, e da oggi questo sito ci permette di ricordarla come si merita.



3 commenti:

JohhnX ha detto...

é un vero peccato che il nuovo Bear Magazine si concentri sopratutto sui bear muscolosi e palestrati.
in un editoriale hanno spiegato che noi orsoni grossi non abbiamo niente a che fare con il movimento originale Bear. Insomma, tra le righe volgiono dire che per vendere bisogna emarginare ancora gli uomini panzuti e di una certa età. I quali devono comprare la rivista ed acquistare il loro merchandising, che peró non hanno nessun diritto di comparire nelle pagine della rivista.
io il nuovo Bear Magazine lo boicotto.
scusa lo sfogo, ma bisogna vederlo anche da questo punto di vista. se vuoi ti mando lo scan di quel editoriale comparso su uno dei numeri pubblicato lo scorso anno.

Perdido ha detto...

Capisco la tua amarezza. E in effetti, è una cosa piuttosto discriminante. Ma dobbiamo ricordare che BEAR nasce (e in fondo rimane) un prodotto commerciale con un suo target (che probabilmente non vuole perdere). Inoltre è vero che il termine Orso, che noi usiamo con tanta disinvoltura, nel resto del mondo cambia sfumatura a seconda del paese in cui lo si pronuncia. In America, per esempio, è tuttora riferito in linea di massima ai modelli in stile Jack Radcliffe, mentre ai panzuti ci si riferisce più che altro come Chubs. Ciò non toglie che BEAR abbia comunque rappresentato qualcosa, e svolto un ruolo di faro per chi ancora non aveva incontrato certi codici.
E' vero, forse dovrebbero rivedere qualche posizione e evolversi superando certi argini. Ma questo non può essere imposto a nessuno. soprattutto quando si parla di attività commerciali.

JohhnX ha detto...

Infatti riconosco l'importanza del vecchio BEAR nel darci una identità nel vasto mondo gay, a fare uscire l'orso dal mondo leather e stabilire una propria community.
Posso anche capire che bisogna pubblicare ciò che fà vendere la rivista. Nessuno mi obbliga a comprarla. Peró ho trovato fuori luogo e discriminante quel editoriale. Come dire ad una parte dei propri lettori: non ci piacete peró ci piacciono i vostri soldi.
il rispetto ci vuole sempre.

un mega salutone da Berlino a te e alla mia bella Sicilia!