Capita tutti gli anni. Anzi di continuo. E’ una reiterazione energica, che rifiuta di valutare sia la storia che la politica o anche il semplice buon senso alla base di un evento ormai radicato. L’argomento riguarda sempre il Gay Pride, e sembra essere caro (strano, ma vero) tanto a “certi” etero che a “certi” gay. Quanto spesso sentiamo dire che il Gay Pride è una carnevalata (nella migliore delle ipotesi) o un carosello di oscenità (in una delle peggiori)?
Che l’aspetto più festoso del Pride, quello colorato e appariscente, rappresentato (ma non esclusivamente) da transessuali e drag queen, e corteggiatissimo dai media a discapito della fetta omosessuale più “normomorfa”, faccia paura a molti, è un dato difficile da ignorare. Fa paura a certi etero, forse, perché pone un particolare accento su alcune diversità. E fa paura a certi gay per la stessa medesima ragione. Si ha terrore di essere accostati a qualcosa che si percepisce come distante. Si ha paura di essere “considerati” diversi da quello che, forse in modo inconsapevole, continuamo a ritenere il nostro referente di normalità: cioè il mondo eterosessuale. Forse ci fa comodo pensare che qualcuno sia "ancora più diverso di noi". E, magari in buona fede, ritieniamo che la negazione della pluralità dei modi di esistere sia la strada più giusta. Anche quando gli argomenti vacillano e non sostengono più il nostro torrente di “No”.
Le formule sono tante: “Non parteciperei a una sfilata dell’orgoglio etero come non partecipo al Gay Pride” o “Un’ostentazione di vita eterosessuale non la trovereste disgustosa?”.
Il punto nevralgico, a mio avviso è questo: l’”Etero Pride” esiste veramente. E a differenza della nostra festa, dura tutto l’anno.
Non posso fare a meno di riflettere su quello che la cultura eterosessuale ci propina quotidianamente, in televisione, nella pubblicità, in certi appuntamenti di ogni giorno e ormai persino nella vita politica. In TV è un continuo esibire cosce e tette, battute allusive, conduttori che in prima serata scherzano in modo volgarissimo con la bellona di turno. Ballerine con le chiappe al vento, veline, letterine ed ereditiere seminude, grevissimi film di Boldi e De Sica, volgarità esibita nei varietà e nei dibattiti. Allusioni sessuali (rigorosamente etero) pesanti e reiterate in un clima di permissivismo che, se pure a volte è criticato, non lo è come le manifestazioni del Pride. Non con la stessa forza, non con la stessa costanza. Eppure è presente nelle nostre vite tutti i giorni del calendario. Ce lo sorbiamo la mattina col caffè, al pomeriggio e prima di dormire. Il Gay Pride si svolge, invece, una volta l'anno. Le masse di omosessuali che sfilano per le strade, ognuno con la propria bandiera, lo fanno per chiedere di avere riconosciuti dei diritti fondamentali. I feticci etero della televisione e della cultura di massa in generale, sono solo pagati per sbatterti il culo in faccia.
Dovremmo tenere presente tutto questo ogni volta che proviamo la tentazione di sminuire il valore del Pride. Una realtà nata da un atto di coraggio di alcuni travestiti nell'ormai lontano giugno del 1969, nel locale Stonewall. Loro, per primi, hanno avuto la forza di alzare la testa e dire: “Noi esistiamo. E abbiamo il diritto di vivere e di essere rispettati come chiunque altro”. A qualcuno potrà non piacere il loro modo esuberante di apparire. Potrà provare fastidio di fronte al loro variopinto sfilare. Ma all’origine di tutto questo c’è un atto di grande coraggio: quello di riuscire a mostrarsi per ciò che si è senza timore di subire scherno o ritorsioni. Una scelta che affonda le radici nella storia recente. Una storia che, senza questi personaggi, oggi non conoscerebbe il movimento GLBT e le lotte per i diritti di omosessuali e lesbiche. Arricciare il naso, nel chiuso della propria indifferenza (e a volte della propria debolezza) può essere molto facile. Si possono perdere ore dibattendo su concetti come il buon gusto o sugli scioperi di categorie non connotate per orientamento sessuale, dove quasi sempre si possono cogliere momenti discutibili (slogan infelici, fischietti stridenti, cassonetti incendiati e atti di vandalismo), di solito ben più preoccupanti di una sfilata di travestiti dagli abiti appariscenti. Si ricordi bene questo, prima di ripetere che transessuali e drag queen inquinano l’immagine del movimento omosessuale fornendo argomenti “validi” ai suoi detrattori. Il movimento Gay con le sue piccole conquiste, lo hanno creato loro. Questi personaggi da carnevale, da baraccone... questi freaks. E lo hanno fatto con dignità, ponendo in essere un gesto di resistenza che nessuno prima di loro era stato abbastanza uomo (o donna!) per tradurlo in realtà.
Per questo, al di là di ogni scelta estetica o sessuale, in quanto essere umano prima ancora che gay, sceglierò sempre di sfilare al loro fianco, piuttosto che sottoscrivere un atteggiamente minimalista, fatto di rinuncia, paura e strisciante vergogna.
1 commento:
Perfettamente d'accordo con te. Aggiungerei che sino a quando qualcuno, fosse solo un singolo individuo, afferma l'eccessività e l'inutilità del Gay Pride,confermerà
la necessità che il Pride ci sia.
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