A nostro avviso, però, un paio di considerazioni meritano ancora di essere scritte. Soprattutto dopo la difesa dell'Annunziata posta in essere da un sorridente Enrico Mentana, in chiusura del servizio a lei dedicato sul Tg de La 7. Mentana affermava che tutti dovremmo forse maturare un laicismo più ampio, lasciar cadere i tabù e a non turbarci troppo quando vengono usate delle affermazioni chiaratamente estremizzate a scopo dimostrativo.
Sembra tutto molto semplice, molto innocente, e definitivamente a posto. Eppure c'è qualcosa che non torna. Non si vuole insinuare, in questa sede, che Lucia Annunziata intendesse realmente difendere un atteggiamento ferocemente omofobo, né che Mentana lo abbia consapevolmente a sua volta ratificato. Il punto è che ci troviamo in presenza di due giornalisti di grande esperienza, che dovrebbero ben sapere che la scelta delle parole, se affrettata, può produrre enorme confusione nelle coscienze meno avvertite. E' palese che Lucia Annunziata non volesse fare altro che riciclare il contenuto del frusto, ma sempre nobile adagio di Voltaire: “Trovo abominevoli le cose che dici, ma darò la vita perché tu possa dirle.”
Che Lucia Annunziata, anziché ripetere il vecchio detto abbia scelto di proferire direttamente qualcosa di abominevole, si potrebbe interpretare semplicemente come una sua scelta retorica. Ma bisogna tener presente che l'aforisma di Voltaire è un principio filosofico, non una norma di vita, e che oltre al sacrosanto diritto di espressione esistono altri due concetti che Annunziata e Mentana, vista la loro professione, dovrebbero tenere sempre presenti: quelli di consesso civile e ordinamento giuridico.
Perché questa pedanteria, come qualcuno sicuramente potrà definirla? Perché la libertà di parola è una bellissima cosa, ma va inserita in un contesto civile complesso, fatto di norme e relazioni sociali. E va rapportata attentamente con i concetti etici e giuridici di istigazione all'odio e apologia di reato. Qualcosa cui Lucia Annunziata prima ed Enrico Mentana dopo sembrano non aver pensato affatto, liquidando il tutto con una mera questione di paradosso e una massima filosofica che in sostanza avrebbe mandato assolto chiunque.
Ma è davvero così? Non le intenzioni dell'Annunziata. Stiamo parlando della presunta semplicità di un quadro sociale dove tutto può essere detto. Un paese la cui omofobia è emergente, bisognoso di essere istruito alla tolleranza e alla riscoperta del valore della storia, avrebbe, a nostro parere, meritato un po' di attenzione in più da parte di chi fa delle parole il proprio strumento di lavoro quotidiano.
Non riusciamo a liberarci dal sospetto che ci sia, tra l'altro, paradosso e paradosso. E che se Lucia Annunziata, invece che estremizzare sui gay, avesse detto «Avrei difeso Celentano anche se avesse detto che era un peccato che nei forni non fossero finiti più ebrei,» oppure «Lo avrei difeso anche se avesse detto che è lecito che un adulto faccia sesso con un bambino di otto anni,» la reazione sarebbe stata ancora più inviperita, trasversale e difficile da ridimensionare.
Forse nel pensare questo sbagliamo. Forse no. In ogni caso c'è da pensarci.
Resta l'intenzione del paradosso, d'accordo. Ma il sospetto che qualcosa di fuori posto, forse una scelta retorica superficiale, ci sia stato per davvero, proprio non riusciamo a scrollarcelo di dosso.
Se ne parlerà certamente ancora nella trasmissione In mezz'ora, dedicata (giustamente) al tema dell'omofobia.
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