domenica 12 luglio 2009

Bear Fiction: BOLOGNA (di GigiBear5)

BOLOGNA

Racconto di GigiBear5


Stazione Centrale, primo pomeriggio d’inizio maggio, piove di brutto. Sto tornando a casa in licenza premio dopo due mesi. Il primo treno utile arriverà tra tre ore. Nonostante i portici una passeggiata con questo tempo è senza storia. Ho già riletto il quotidiano e mi sono rimaste solo le pagine d’economia di cui non m’interessa una mazza. Stiracchio le gambe e guardo la piccola scucitura in mezzo alle gambe, s’intravede il bianco delle mutande. Ci sto crepando dentro a questa divisa ed e’ la taglia più grande che avevano. Se dovessi fare un movimento brusco o dieci passi di corsa mi troverei col culo in piazza.
Tamburello la panza guardando l’orologio che non vuole correre. ”E muoviti maledetto… che voglio arrivare a casa e rivedere gli amici!”
Vado a svuotare la vescica.
I bagni pubblici sono a sinistra vicino al capolinea della Est. Bagni enormi.
Mi accomodo a gambe larghe davanti al pisciatoio in angolo, slaccio cintura e bottoni. Entra e si piazza a due posti di distanza una figura ingombrante.
Il movimento che colgo con la coda dell’occhio mi incuriosisce, mi giro. E’ un frate, non riconosco l’ordine, non mi hanno mai interessato i religiosi.
Si tira il lembo del saio alla bocca e lo tiene colle labbra. Arcua il corpo in avanti per non pisciarsi sui piedi scoprendo abbondanti porzioni di cosce e polpacci.
Gambe pelose e robuste. I peli gli arrivano fino ai piedi, mi ritrovo a fissare il suo alluce destro sormontato da un delizioso ciuffettino nero che sporge dai sandali.
Sento il suo sguardo addosso, salgo con gli occhi a cercare i suoi. Occhi marroni scuri, brillanti, un ulteriore guizzo ed un leggero ammiccamento mi va avvampare il viso. “…impossibile mi stia battendo… avrà un tic… E’ un frate!!!”
Altra schermaglia di sguardi, non li abbassa mai, fa sul serio. “...ed ora che succede?… Mica posso farmi un frate QUI! nei bagni della stazione”.
Arretra leggermente ruota i fianchi verso me, mi mostra il cazzo, sotto non porta niente. Decisamente ci sta provando, sono imbarazzatissimo.
Mi attizza un macello ma vorrei scappare a gambe levate.
Mi salva un rumore di passi di qualcuno che sta entrando. Apre la bocca e lascia scivolare il lembo. Ora che ha la bocca vuota mi sorride. Ha un gran bel faccione tondo e solare, barba e baffi, scuri come i capelli che porta cortissimi.
Allunga il collo sbirciando la mia evidente erezione. S’infila in un bagno, l’ultimo in fondo, lasciando la porta socchiusa. Sento i suoi occhi perforarmi la nuca.
Richiudo i bottoni e mi avvio verso il lavandino, deciso ad andarmene. Il terzo uomo se ne va e sento il cigolio dei cardini. Si è tirato nuovamente su il saio e lo tiene al petto con una mano. Si strofina cosce e palle facendo sballonzolare il cazzo che ha già duro e pulsante. Mi invita con tutto il corpo e fa un gesto osceno con la lingua. La ruota lentamente leccandosi le labbra.
Vorrei fuggire ma è irresistibile. “…se arriva la pula come me la sfango?
“CazzoCazzoCazzo!”
E’ pericoloso ma mi scoppiano le mutande.
Mi avvicino, scivola all’interno trascinandomi dentro. Si tira il saio fino alle ascelle. Ha pelo riccio e folto su tutto il petto ed una pancia rotonda che non riuscivo ad immaginare così compatta e ben fatta.
Mi invita ancora con un movimento imperioso del capo a richiudere la porta.
Sto tremando di eccitazione. Si avvicina. Occhi dolci ma pieni di libidine.
Potrebbe essere mio padre, avrà 45 anni ,forse 50. Mi accarezza e mi calma. Scende con le mani e mi sbottona lentamente. Ha un tocco leggero, mi fa rabbrividire, slaccia anche la cintura, mi fa allargare le gambe e lascia che i calzoni si affloscino ai polpacci.
Mi bacia il collo, strofina la barba sul mio petto e si ferma a fare mulinelli attorno ai capezzoli, subito rigidi. Li lecca, li lavora con cura, nessuno mi ha regalato tanta emozione solo toccandomi. Accelero il respiro, con improvvise apnee quando mi fa sentire i denti.
Mette una mano sulla mia bocca, sto mugolando senza accorgermene.
Si stacca sorride e fa segno di stare zitto. Annuisco.
Riprende, mi sta facendo godere solo con la lingua, ancora non mi ha toccato lì, nel mio orgoglio di ventenne arrapato e sento l’umidiccio del precum contro le mutande.
Apre la camicia completamente e gioca con le mie reni ripassando con la barba qua e là facendomi sobbalzare. Slaccia il cordone e sfila il saio, agganciandolo alla porta. Mi mostra le spalle, è uno spettacolo indimenticabile, un mare di peli che non si arresta fino al retro delle ginocchia per riprendere fino alle caviglie. Ha un sedere alto e rotondo in cui vorrei affondare. Sente i miei occhi frugarlo, si gira con un sorriso complice.
Mi schiaccia contro il muro e riprende la sua inesorabile discesa. Arriva fino all’altezza della cintura poi scende fino alle ginocchia risalendo, strusciando barba e baffi, mi allarga le ginocchia e passa la testa in mezzo. Mi lecca l’interno cosce, provocandomi contrazioni.
“...sali! ...sali! SALI e succhiami il cazzo, mi hai spogliato quasi nudo ed ancora non me lo hai toccato. Non capisci che mi fai impazzire?!”.
Sembra sentire il mio desiderio, risale fino alle palle, titillandole, leccandole.
Benedette mutande tattiche, così larghe da permettere alla sua lingua di arrivare fino all’attaccatura delle gambe. Mi intriga quel contatto parziale, la sua faccia nascosta nelle mie mutande. Vorrei facesse in fretta ma intuisco che sa perfettamente come condurre il gioco.
Prende le mutande e le sfila lentamente in basso baciandomi il monte di venere, potrei venire anche solo al pensiero del contatto delle sue labbra. Gli prendo la testa e lo obbligo ad alzarsi. Lo guardo intensamente e lo bacio. Chiude gli occhi, ricambia e si abbandona.
Ci stringiamo accarezzandoci schiena e fianchi , sento il suo uccello puntare contro la mia coscia , sensazione di umido. Con la destro lo tengo contro di me e con la sinistra lo accarezzo, a mano aperta, lo frugo, lo esploro, indago tra tutti quei peli.
La caccia ha successo trovo il suo capezzolo, grande come una matita , puntato verso l’alto. Abbandono la sua bocca per divorarglielo, ora è lui a mordersi le labbra per non emettere suoni. Passo all’altro lo sento guizzare, gli accarezzo le cosce, sfiorandolo a mani aperte, ogni pelo una piccola scarica elettrica.
Scendo con la bocca ma non sono paziente, punto subito al bersaglio grosso, gli succhio il cazzo srotolando la lingua. Ho il suo sapore dolciastro in bocca.
Mi ferma la testa, me la guida tra le gambe, cerco le palle. Sono grandi, allungate e profumano di maschio. Soffoco nel tentativo di metterle in bocca entrambe. Prendo fiato e ritento, stavolta funziona, si fa scappare un mugolio. Gliele massaggio mentre il suo cazzo mi preme contro il naso, le vibrazioni delle sue gambe mi fanno capire che è una delle sue zone sensibili.
Allungo le mani a sfiorare la pancia, ne seguo il profilo tenendo le dita ben aperte, sussurra qualcosa. Questo silenzio obbligatorio mi eccita maledettamente. Passo una mano dietro e ripeto il gioco di stuzzicargli i peli. Quando raggiungo il sedere lo sento vibrare, piccole velocissime contrazioni. Passo con le dita tutto il solco fino all’attaccatura delle palle, gli spasmi diventano velocissimi.
Ripasso appoggiando le dita con un poco di pressione, lo spacco si apre e mi ingloba due dita. E’ caldo e leggermente sudato, le dita si umettano al passaggio e sento la palpitazione del buchetto.
Ci gioco senza mollargli le palle, raccolgo la saliva che mi sbava dagli angoli della bocca e gli bagno il buco, spalanca le ginocchia per darmi campo. Ha la faccia contratta, mi prende la mano e la guida dentro facendomi sentire la cedevolezza del suo sfintere. Mi monta una voglia imperiosa di farlo mio.


Mi allontana la faccia , gli libero le palle. Mi tira in piedi e finalmente mi abbassa le mutande, piega il tronco e mi succhia con avidità, lecca meticolosamente lasciando il suo rotondo culo peloso in piena vista. Bagno e faccio scivolare un dito dentro, è burro bollente, non smette nemmeno un istante di divorarmelo, aggiungo un dito, stavolta stringe, inarca la schiena e sbuffa a bocca piena.
Vorrei già schizzargli in bocca, ma mette le dita ad anello e mi stringe palle e cazzo. Sento che mi si ingrossa. Lo guardo sorpreso, sto imparando molte cose da lui oggi.
Ho la cappella viola, lucida come vetro, puntata verso l’alto.
Mi spinge contro il muro, si mette in posizione divaricando le gambe e lentamente arretra con leggeri colpi delle reni. Sento il calore del suo culo avanzare lentamente mentre mi inghiotte centimetro per centimetro. Inesorabile spinge finchè sento le sue anche cozzare contro le mie pelvi. Muove la testa annuendo in segno di obbiettivo raggiunto, si appoggia meglio al muro di fronte e comincia a scopare.
Rotea le chiappe per allargarsi e stantuffa all’indietro, lasciandomi muto interessatissimo spettatore. Fa un massaggio coi visceri per accompagnare il ritmo della scopata. Mi sento un giocattolo, il suo giocattolo, sono solo un cazzo. Mi piace e voglio partecipare. Comincio a seguire il suo ritmo, enfatizzando i colpi. Gradisce, smette di usarmi e lascia che sia io a decidere la velocità dell’inculata.
Ritmo che si fa presto indiavolato, rilassa completamente lo sfintere mentre lo monto con passione. Gli tengo le spalle, e sento salire i miei succhi pronti ad esplodere. Il respiro soffocato ma affannoso lo avverte del momento, stacca per un attimo una mano dal muro per farmi segno di star zitto. Annuisco. Si masturba.
Stringe di colpo i muscoli anali provocandomi un orgasmo immediato. Schizzo dentro di lui, sento il calore del mio seme irradiarsi, mi mordo le labbra per non urlare, soffoco a fatica i rumori che vorrei emettere .
Continua a stringere e si masturba. Sento le ondate del suo piacere straziarmi il cazzo, mentre brividi gli corrono su tutta la schiena. Si rilassa e lentamente mi lascia uscire. Ho il cazzo duro come quando abbiamo iniziato, come se non fossi venuto. Srotola carta igienica, mi pulisce, mi massaggia il corpo con dolcezza, sono appoggiato al muro svuotato d’energia. Mi aiuta a rivestirmi, mi fa l’occhiolino, sorride con uno sguardo birichino e divertito, sblocca la porta, sbircia e mi spinge all’esterno.
Esco e mi siedo su una panchina del giardinetto interno a rifiatare, mentre la pioggia finalmente chetatasi ticchetta sulle vetrate. Esce, mi vede e fa uno strano saluto a metà tra un ciao e una benedizione. Trotterella via.

Non ci siamo detti nulla, non ho sentito com’è la tua voce, non so come ti chiami, non so da dove vieni, non so niente di te…
…ma so che sto bene.

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